Il ruolo degli inquinanti al centro di un convegno dell'AIDM: 12 i più pericolosi, i terribili Pop

Ambiente e salute riproduttiva, una relazione pericolosa

All'ospedale Mauriziano si discute del rapporto tra sostanze tossiche e disturbi ginecologici
Bombardati da sostanze tossiche e assuefatti lentamente. Gli esperti li chiamano “la sporca dozzina” perché sono 12 e sono i più potenti e pericolosi inquinanti ambientali racchiusi in un acronimo universale, Pop.
I 12 arrivano da sostanze che introduciamo con alimenti, tramite la pelle (creme, cosmetici) oppure dall’aria che si respira. Ne sono bersagliati quotidianamente organi vitali come lo stomaco, come i polmoni, come le arterie che portano sangue e ossigeno al cuore, e anche organi “sensibili” come quelli riproduttivi.
I “terribili 12” sono sostanze che possono provocare danni neurologici, al sistema riproduttivo in modo diverso in entrambi i sessi, al sistema immunitario e a quello endocrino, e ci sono anche dubbi per una possibile azione di induzione di tumori.
L’aria inquinata che si respira, oggi al centro di misure restrittive, è un veleno che, secondo
evidenze medico-scientifiche, nelle donne farebbe ammalare organi come le ovaie e l’utero di malattie che, se non sono diagnosticate in tempo, potrebbero trasformarsi in tumori o portare a infertilità come fa, nel 30-40% dei casi, l’endometriosi, la malattia che rivela la presenza di endometrio (la mucosa che riveste la superficie interna dell’utero) al di fuori della cavità uterina, fino nella cavità addominale.
Se n’è parlato all’ospedale Mauriziano insieme all’Associazione italiana donne medico (AIDM) della sezione di Torino, perché la relazione tra ambiente e salute riproduttiva sta assumendo contorni pericolosi e non si deve abbassare la guardia. I Pop possono essere suddivisi in tre categorie: pesticidi, prodotti industriali (Pcb ed esabromobifenile, bisfenile A, ftalati) e sottoprodotti non desiderati dei processi industriali (diossine, furani e alcuni Ipa).
“Si tratta di composti chimici ambientali con specifica azione sul sistema neuroendocrino che alterano la produzione di estrogeni e androgeni riducendo la fertilità, e possono favorire lo sviluppo di sindrome metabolica con diabete e obesità, anche a partire dall’età pediatrica”, spiega la dottoressa Enrica Ciccarelli, endocrinologo dell’ospedale Martini e medico AIDM.
“Per esempio la presenza di Pcb e diossine nell’ambiente è risultata correlata all’aumento
dell’incidenza di endometriosi, mentre gli ftalati sono stati associati in moltissimi studi all’infertilità maschile”. Con una incidenza del 10-15%, di endometriosi in Italia soffrono 3 milioni di donne, tra i 29 e i 39 anni.
“In Piemonte la più alta incidenza di casi si è registrata in Valle Bormida e in Valle di Susa, aree che hanno registrato una maggiore concentrazione di sostanze tossiche prodotte proprio da industrie inquinanti che sono state chiuse” spiega il ginecologo Francesco Deltetto. “Questo dimostra che sostanze tossiche disperse nell’aria, a lungo termine sviluppano malattie che possono colpire anche l’apparato riproduttivo”.
Tra i sintomi dell’endometriosi c’è il dolore pelvico cronico, mestruazioni molto dolorose e il
dolore pelvico e nella vagina durante rapporti sessuali. Campanelli d’allarme evidenti, tuttavia il ritardo diagnostico dell’endometriosi è di 9 anni. E a spiegare la ragione è la dottoressa Tiziana Borsattidell’Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri di Torino e medico AIDM. “Ci vogliono 5 anni perché si arrivi ad una diagnosi poiché la donna crede che quel dolore sia ‘normale’, e ce ne vogliono altri 4 per arrivare ad una cura”.
L’endometriosi è una ‘malattia sociale’ perché è invalidante. “Le donne colpite, purtroppo,
devono adattare il loro stile di vita alla malattia” spiega Valentina Caputo, consigliere regionale Pd. “Statisticamente il 14% di loro cambia l’orario di lavoro o addirittura rinuncia al posto di lavoro, sono almeno 5 i giorni lavorativi persi ogni mese e gli esami e le cure sono costosi”.
Ma oggi un passo in avanti è stato fatto. Per dare finalmente una risposta a queste donne, a giugno è stata approvata una legge che è il frutto della sintesi di due proposte di legge e di una di queste la Caputo è la prima firmataria. “La legge prevede l’istituzione di un osservatorio regionale, di una rete e di un registro regionali nonché l’individuazione dei centri di riferimento per la prevenzione e la cura della malattia. Un passo in avanti molto importante”.
Intanto, sul fronte inquinamento l’attenzione è ancora alta perché la nebbia grigia sulle teste dei torinesi persiste ancora. Nasce spontanea una domanda: sono realmente utili i blocchi imposti alla circolazione per abbassare i valori delle polveri inquinanti? Visto lo scenario non proprio confortante presentato dal mondo medico?
“A Torino, il traffico contribuisce alle concentrazioni degli inquinanti per il 70%, il biossido di azoto per un buon 80%, dunque agire sul traffico è uno dei mezzi più efficaci per la riduzione delle concentrazioni, ma solo a livello locale” spiega Ennio Cadum, epidemiologo ambientale di Arpa Piemonte.
“Purtroppo il problema è rappresentato dall’effetto di trasporto delle concentrazioni degli inquinanti dalle regioni vicine, per cui anche se si bloccasse il traffico a Torino, le concentrazioni non scenderebbero oltre la metà di quelle esistenti. L’intervento è perciò utile su scala ampia, altrimenti è totalmente inefficace”.