martedì 10 gennaio 2017

Perché i giovani amano il ribelle Holden

Perché i giovani amano il ribelle Holden


Pubblicato il 08/01/2017
Ultima modifica il 08/01/2017 alle ore 07:34
«Un sacco di scuole avevano già chiuso per le vacanze e c’era qualcosa come un milione di ragazze sedute e in piedi che aspettavano di veder arrivare quello con cui avevano appuntamento. Ragazze con le gambe accavallate, ragazze con le gambe non accavallate, ragazze con gambe pazzesche, ragazze con gambe orrende, ragazze che dovevano essere ragazze stupende, ragazze che dovevano essere delle stronze, a conoscerle. Era un gran bello spettacolo, non so se mi spiego. Per certi versi era anche un po’ deprimente, perché ti chiedevi che fine avrebbero fatto tutte quante. Una volta finita la scuola e l’università, dico. Ti immaginavi che quasi tutte avrebbero probabilmente sposato un cretino». Così Holden Caulfield in «The Catcher in the Rye», ovvero «Il giovane Holden».  

II romanzo a cui Jerome David Salinger aveva iniziato a lavorare dopo lo sbarco in Normandia quando appena ventenne indossava l’uniforme dell’esercito americano e con cui esordì in Usa nel 1951, poi destinato a conquistare nel corso dei decenni milioni e milioni di lettori in tutto il pianeta. Di modo che ritrovarselo oggi, a quasi settant’anni di distanza, tra i cento libri più venduti in Italia nell’anno appena trascorso, è certo motivo di (felice) stupore, e però anche l’ennesima conferma della fortuna di un libro impermeabile al trascorrere del tempo e delle mode.  

Uscito da noi per la prima volta nella traduzione di Jacopo Darca per i tipi di Gherardo Casini Editore nel 1952, ritradotto da Adriana Motti per Einaudi nel 1961 e infine ri-ritradotto da Matteo Colombo sempre per la casa editrice dello Struzzo nel 2014, «Il giovane Holden» continua imperterrito a trovare nuovi estimatori. E questo nonostante nel frattempo il mondo sia decisamente cambiato. È infatti l’inverno del 1949 quando Holden, appena arrivato alla Penn Station di New York dopo aver lasciato la Pencey - stanno per cominciare le vacanze di Natale ma in realtà lui è stato espulso, anche se da ribelle qual è sceglie di abbandonare la scuola prima dell’entrata in vigore del provvedimento - decide di entrare in una cabina telefonica per chiamare la sorellina Phoebe, anziché usare uno smartphone per mandarle un messaggio su WhatsApp come farebbero i suoi coetanei di oggi. Nell’arco di un fine settimana, Holden si muove tra Central Park e Greenwich Village in una New York certo assai diversa da quella dei nostri giorni, dove per andare a caccia di ragazze - con tutta la beata ingenuità dei suoi 16 anni - s’intrufola nel night annesso all’albergo in cui si è sistemato per la notte e poi in un jazz club, spacciandosi per maggiorenne così da poter ordinare alcolici: per un adolescente dell’epoca, il massimo della trasgressione.  

Eppure, come si è detto, Holden non smette di affascinare sempre nuove generazioni di lettori. E se la storia che lo vede protagonista continua a vendere tante copie non è solo per merito degli insegnanti che ancora oggi ne consigliano la lettura agli studenti durante le vacanze scolastiche. Nel momento in cui ha creato questo personaggio, infatti, J.D. Salinger ha fissato per sempre sulla carta il prototipo dell’adolescente alle prese coi turbamenti e col famoso «disagio» che caratterizza quest’epoca della vita. Holden, molto legato alla sorellina Phoebe, piuttosto critico nei confronti del fratello maggiore D.B. - colpevole ai suoi occhi di aver svenduto il suo talento di scrittore per sfornare sceneggiature a Hollywood - non riesce a lasciarsi alle spalle la morte per leucemia del fratello minore Allie. Perché è sì un ribelle, ma è anche un ragazzo sensibile, fragile, emotivo. Che, al di là delle pose da duro, nel momento in cui abbandona la scuola teme la reazione dei genitori: un padre come usa dire assente, e una madre nevrotica capace solo di fumare un sigaretta via l’altra. Lui da parte sua vorrebbe tanto sapere dov’è che volano d’inverno le anatre del Central Park, e ce l’ha su con gli ipocriti, equamente distribuiti tra adulti e compagni di scuola. Soprattutto, al di là di alcune ipotesi strampalate, non ha idea di come sarà il suo futuro. E forse proprio questa sua incapacità di immaginarsene uno ne fa davvero un giovane d’oggi.

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