sabato 16 gennaio 2016

Il diritto all'immagine - ambito della tutela e rimedi giudiziali





Il diritto all'immagine trova il suo riconoscimento costituzionale nell'art. 2 della Cost. che tutela l'identità dell'individuo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità ed esplicita tutela nel codice civile all'art. 10 che dispone: "qualora l'immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l'esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l'autorità giudiziaria, su richiesta dell'interessato, può disporre che cessi l'abuso, salvo il risarcimento del danno".
Dalla norma codicistica si desume che i soggetti legittimati ad esperire l'azione per la tutela del diritto all'immagine, siano il titolare dell'immagine che si assume violata, i suoi genitori, i suoi figli ed il coniuge.
La tutela del diritto all'immagine implica la possibilità di escludere l'uso non autorizzato che terzi ne facciano, sotto forma di esposizione pubblica, riproduzione e commercializzazione.
Deve, inoltre, precisarsi che la tutela del diritto all'immagine prescinde dall'eventuale lesione dell'onore, della reputazione o del decoro che consegua all'esposizione, riproduzione e commercializzazione che debbono, infatti, considerarsi vietate nonostante non abbiano prodotto alcuna lesione al riguardo. 
Il consenso all'uso, da parte di terzi, della propria immagine per scopi promozionali dà vita al contratto di sponsorizzazione. 
Stante l'indisponibilità del diritto all'immagine (che segue, al riguardo, la generale disciplina dettata per i diritti della personalità), si discute se il consenso possa essere revocato (secondo parte della dottrina il consenso sarebbe sempre revocabile salvo il risarcimento del danno, mentre secondo altra parte della dottrina, il consenso prestato dietro corrispettivo nell'ambito di un contratto di sponsorizzazione non sarebbe mai revocabile).
Il codice prevede che il diritto all'immagine sia tutelato salvo che l'esposizione o la pubblicazione sia dalla legge consentita e sempre che non arrechi pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona.
I limiti legali del diritto all'immagine sono quelli di cui all'art. 97 della L. n. 633/1941 che prevede la possibilità di riprodurre l'immagine altrui allorchè la pubblicazione sia giustificata dalla notorietà della persona, dall'ufficio pubblico da questa ricoperto, da ragioni di polizia o di giustizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, dalla partecipazione della persona ad eventi d'interesse pubblico e svoltisi in pubblico.
In ogni caso la giurisprudenza ha posto in evidenza che la notorietà della persona non giustifica, di per sè, qualsivoglia riproduzione della sua immagine in quanto è pur sempre necessario che via sia l'esigenza di informazione pubblica e che sia garantita la riservatezza con riferimento a tutti gli aspetti della propria sfera privata estranei al soddisfacimento del pubblico interesse.
Il consenso alla pubblicazione dell'immagine deve essere prestato, anche implicitamente, con la consapevolezza dei limiti soggettivi ed oggettivi della pubblicazione.

Nota da Wikipedia






























3 La tutela dellimmagine nella legge sul diritto dautore

Come anticipato, il diritto all’immagine è stato espressamente tutelato dalla legge sul diritto d’autore (RD n. 633 del 1941) che ha subordinato la liceità dell’uso dell’immagine di una persona alla prestazione del consenso da parte della stessa (4).
La medesima normativa  ha stabilito talune ipotesi in cui la pubblicazione dell’immagine può essere eseguita legittimamente, pur in assenza del consenso del soggetto interessato, in presenza di determinate finalità di stampo pubblicistico.
Dette finalità sono state espressamente individuate  dal legislatore e consistono in scopi di giustizia, in scopi scientifici, didattici, culturali oppure in casi in cui l’immagine ritragga personaggi pubblici oppure personaggi non noti che, tuttavia, partecipano  ad avvenimenti o cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico.
La giurisprudenza, infatti, ha negato la tutelabilità dell’immagine in caso, ad esempio:
di partecipazione a trasmissioni televisive, salvo che sia stato espressamente negato il consenso alla trasmissione dell’immagine. I giudici di merito hanno ritenuto di poter ravvisare in dette circostanze una sorta di consenso implicito. A parere di chi scrive detto consenso pur essendo ammissibile secondo la legge sul diritto d’autore, non può certamente considerarsi in linea con la normativa privacy che, invece, prevede, salvo casi specifici, il consenso espresso tra le condizioni di validità dello stesso(5);
o, ancora, nei casi in cui l’immagine riguardi un personaggio non noto che ha partecipato ad una cerimonia privata qualora  la stessa costituisca un episodio di rilevante ad articolata valenza pubblica(6).
La pubblicazione dell’immagine è, in ogni caso, vietata qualora essa possa recare pregiudizio all’onore, alla reputazione o anche al decoro della persona ritratta.
La valutazione circa la sussistenza, o meno, di un pregiudizio all’onore, alla reputazione o al decoro della persona derivante dall’uso dell’immagine viene normalmente compiuta dal giudice investito della controversia. L’autorità giudicante, in dette ipotesi, fa riferimento a taluni parametri quali la sensibilità sociale, l’attività svolta da parte del soggetto interessato nonché l’ambiente in cui vive o in cui l’immagine è stata ritratta.
Basandosi su questi elementi, ad esempio, il Tribunale di Napoli(7) ha respinto le richieste risarcitorie avanzate da una cubista che aveva visto divulgare la propria immagine su un giornale in occasione della pubblicazione di un articolo sulle discoteche.
Nella risoluzione della fattispecie concreta sottoposta alla sua attenzione il Giudice partenopeo ha avuto modo di osservare come il pregiudizio all’onore ed alla reputazione debba essere valutato in concreto.
Conseguentemente nessuna lesione dell’onore o della reputazione della cubista poteva essere ravvisata posto che la stessa aveva scelto di esporsi agli sguardi ed all’ammirazione del pubblico in discoteca.
Sul medesimo percorso motivazionale logico - giuridico si era precedentemente mosso l’Ufficio dell’indagine preliminare milanese(8) che ha negato la ravvisabilità di un reato di diffamazione per la pubblicazione di una fotografia di un’attrice in abiti discinti poiché “l’opinione pubblica ritiene normale un’apparizione di tal genere” per cui essa  non è idonea a far mutare la considerazione sociale della stessa.
Il giudice ambrosiano assumendo come giuridicamente idonei detti presupposti di fatto, per pervenire alla sua decisione, è giunto alla conclusione secondo cui il reato di diffamazione tutela esclusivamente l’onore ed il decoro della persona ma non il suo diritto all’immagine.

































4 La tutela dell’immagine nella privacy e nel copyright: due normative a confronto

La normativa sulla privacy non ha avuto un effetto abrogativo nei confronti della LDA o delle altre norme del nostro ordinamento giuridico poste a tutela del diritto all’immagine.
Essa, tuttavia, ha certamente introdotto dei nuovi obblighi in capo a quei soggetti che raccolgono ed utilizzano le immagini per fini professionali (si pensi ai giornalisti, agli investigatori privati, alle agenzie fotografiche) e che, in ottica privacy, sono definiti quali titolari del trattamento dei dati.
Detti obblighi sono costituiti dalla notificazione al Garante, dall’adozione delle misure di sicurezza minime ed adeguate nonché dalla predisposizione dei mezzi necessari per consentire ai soggetti interessati di poter esercitare i diritti di cui all’art. 13 della legge 675 del 1996 che sono stati integralmente riportati nell’art. 7 del D. Lgs. 196 del 2003.
In altri termini, con l’introduzione della normativa sulla privacy, il legislatore ha imposto un maggiore livello di attenzione per l’uso delle immagini.
Le esimenti al consenso previste dalla normativa sul copyright coincidono parzialmente con quelle previste dalla normativa sulla privacy per la comunicazione e la diffusione di dati personali posto che l’immagine, come si vedrà, costituisce un dato personale.
L’attenzione e la sensibilità, in prima battuta del pubblico ed, ovviamente, in seconda istanza della giurisprudenza si è soffermata sul bilanciamento dei due distinti diritti all’immagine, da una parte, ed alla cronaca, dall’altra.
E’ su dette tematiche, infatti, che può ravvisarsi una più copiosa giurisprudenza di merito e di legittimità.
Qualora non sia possibile riscontrare la lesione di uno dei beni della persona nessuna protezione può essere accordata al diritto all’immagine che, secondo l’univoco orientamento giurisprudenziale, deve cedere il passo al diritto di cronaca, avente anch’esso un fondamento costituzionale(9).

5 L’immagine come dato personale

L’immagine, con l’entrata in vigore della normativa sulla tutela dei dati personali, gode di una tutela rafforzata posto che essa, se ed in quanto idonea ad identificare anche indirettamente un soggetto, può essere considerata dato personale.
La normativa privacy, infatti, definisce il dato personale come qualunque informazione che identifichi o consenta di identificare anche indirettamente tramite il riferimento a qualsiasi altra informazione una persona fisica (10).
E’ ovvio, quindi, che un’immagine consenta di identificare una persona da definirsi, secondo la terminologia privacy, come “soggetto interessato”.
Il Garante, intervenuto sul punto, ha chiarito che le fotografie così come le riproduzioni di immagini (ivi comprese le videoriprese) possono rientrare nella nozione di dato personale(11).
In particolare, per quanto riguarda le videoriprese, l’Authority ha evidenziato che le registrazioni effettuate tramite l’uso di telecamere non contengono sempre e necessariamente dati di carattere personale, in quanto la distanza, l’ampiezza dell’angolo visuale, la qualità degli strumenti o altre circostanze possono non rendere identificabili le persone inquadrate.
A tal proposito si ricorda che il Codice privacy all’art. 4, co. 1, lett. c), ha introdotto la definizione di dati identificativi consistenti nei “dati personali che permettono l’identificazione diretta dell’interessato”.
Tuttavia, tenuto conto che per dati personali si intendono anche i dati indiretti, l’immagine può essere considerata un dato personale non solo quando essa sia chiara ma anche quando consenta di identificare il soggetto attraverso il collegamento con  altre fonti conoscitive (12).
Per quanto concerne la natura di detto dato va detto che esso normalmente costituisce un dato comune.
Nondimeno, qualora l’immagine consenta di rilevare talune informazioni inerenti lo stato di salute, comportamenti sessuali o altre informazioni che la normativa sulla privacy definisce dati sensibili, ai sensi dell’art. 22, comma 1, della Legge 675/1996 (o del nuovo articolo 4. co. 1, lett. d) del D. Lgs. 196 del 2003) anche l’immagine costituirà un dato sensibile.
La differenza non è di poco conto considerato che gli obblighi scaturenti in capo al titolare del trattamento, ossia colui che decide le finalità e le modalità di trattamento dei dati, sono stati differenziati dal legislatore a seconda della categoria di dato oggetto di trattamento.
In questa sede si ritiene bastevole ricordare che per il corretto trattamento dei dati comuni è sufficiente informare la persona cui si riferisce l’immagine da pubblicare degli elementi previsti nell’art. 10 della legge 675/1996 (dal 1° gennaio del 2004 v. art. 13 del Codice privacy) e raccogliere il suo consenso espresso (art. 11 e 20 della Legge 675/1996 riprodotti nell’art. 23 del D. Lgs. 196 del 2003).
Qualora, invece, l’immagine sia tale da consentire anche l’individuazione di un dato sensibile (quale ad esempio i dati inerenti la salute) le condizioni di legittimità della pubblicazione della stessa saranno, oltre all’informativa:
il consenso per iscritto della persona ritratta;
la richiesta ed il rilascio di una specifica autorizzazione del Garante per la protezione dei dati personali qualora il trattamento non risulti già contemplato nelle autorizzazioni generali rilasciate dall’Authority che esplicheranno i loro effetti giuridici fino al giugno del 2004.














6 Il principio consensualistico
 La previsione del principio consensualistico, quale condizione di legittimità del trattamento del dato “immagine”, costituisce, certamente, uno degli strumenti giuridici più efficaci per il rispetto di beni costituzionalmente tutelati quali la dignità e la riservatezza della persona.
Detto principio, infatti, è stato previsto sia dalla normativa sul diritto d’autore che dalla normativa sulla privacy.
Una prima differenza da rilevare tra le menzionate normative concerne la tipologia di consenso. Difatti, mentre la legge sul copyright ammetterebbe anche un consenso implicito (13), la legge sulla privacy richiede esplicitamente quale condizione di validità del consenso che esso sia espresso (14).
Tuttavia, mentre il rispetto di detto principio, secondo la legge sul diritto d’autore, costituisce l’unica condizione di legittimità della pubblicazione dell’immagine(15), non può dirsi altrettanto per la normativa sulla privacy.
Infatti, il Titolare del trattamento che intenda procedere alla pubblicazione di immagini sarà tenuto ad adempiere i diversi obblighi previsti dalla normativa privacy quali la notificazione al Garante (16), l’informativa all’interessato, l’eventuale richiesta di autorizzazione all’Authority, l’adozione delle misure di sicurezza minime ed adeguate nonché la verifica preliminare di non incorrere in nessuno dei divieti di comunicazione (17).
La pubblicazione delle immagini, infatti, integra gli estremi di un trattamento di dati personali e resta assoggettata alla normativa sulla privacy, come precisato, recentemente, dal Tribunale di Biella con la sentenza n. 24 del 26 – 29 marzo del 2003 (18).

6.1 Le “deroghe”

Entrambe le norme in analisi prevedono casi specifici di deroga al principio consensualistico. Dette deroghe che, in gergo privacy, vengono usualmente definite come condizioni di equipollenza al consenso al trattamento dei dati non coincidono perfettamente. Ciò nonostante non sembra allo stato sussistere alcuna sorta di incompatibilità tra le norme in commento tanto più che talune delle esimenti del consenso previste dalla legge sul copyright le ritroviamo anche nella normativa sulla privacy.
Si pensi all’utilizzo delle immagini per il perseguimento di finalità di giustizia o di polizia oppure all’esigenza di informare circa fatti  ed avvenimenti di interesse pubblico o persone notorie (19).
Laddove, invece, l’esimente non ritrova collocazione in entrambe le normative in disamina, come, ad esempio, per le pubblicazioni a scopi scientifici, sarà sufficiente informare la persona ritratta e raccoglierne il consenso prima di procedere alla raccolta dell’immagine.
In tal senso si ricordi, una datata pronunzia del Garante intervenuta a seguito della pubblicazione su una rivista scientifica medica della fotografia di una paziente,  pienamente riconoscibile. La pubblicazione era stata effettuata in violazione della normativa sulla privacy.
In questo specifico caso - pur se la normativa sul diritto d’autore sembrerebbe non richiedere il consenso della persona ritratta, ai sensi dell’art. 97 LDA (l’uso del condizionale è d’obbligo visto che, ad ogni modo, vanno tutelati il decoro, la reputazione e l’onore della persona) - la normativa sulla privacy, invece, non prevede tra le condizioni di equipollenza del consenso il perseguimento, da parte del Titolare, di finalità didattiche o scientifiche (20).
Si ritiene auspicabile che il Garante per la protezione dei dati personali nell’esercitare i suoi poteri di individuazione delle ipotesi di bilanciamento del “legittimo interesse del titolare” con il “diritto di autodeterminazione dell’interessato” (21) consenta la comunicazione delle immagini, pur in assenza del consenso dell’interessato, in tutte quelle ipotesi previste dalla normativa sul copyright.
Detta attività consentirebbe di avere un quadro normativo armonizzato.






























7 La tutela dell’immagine ed il diritto di cronaca

Come si è avuto modo di anticipare, il rapporto tra il diritto all’immagine ed il diritto di cronaca è stato oggetto di disciplina normativa sia nella normativa sul copyright sia nella normativa sulla privacy.
La LDA, come evidenziato, si è limitata a prevedere il diritto di cronaca, seppur attraverso una terminologia indiretta, quale condizione di equipollenza al consenso del soggetto ritratto.
Il legislatore del 1941, in piena rispondenza al clima politico e culturale dell’epoca, pur non richiamando espressamente il diritto di cronaca, ha consentito - in assenza dell’autorizzazione della persona ritratta - la riproduzione di immagini di personaggi notori o che ricoprono un pubblico ufficio o di soggetti non noti qualora le immagini siano collegate a fatti, avvenimenti o cerimonie di interesse pubblico o svoltesi in pubblico.
L’espresso riconoscimento, con l’art. 21 della Costituzione, della libertà di manifestazione del pensiero e, quindi, del diritto di cronaca, ha consentito alla giurisprudenza di interpretare in senso evolutivo le nozioni di avvenimento o cerimonie di interesse pubblico o svoltesi in pubblico.
I giudici capitolini, infatti, hanno evidenziato che la tutelabilità del diritto all’immagine di un privato - in assenza del suo consenso ed in una cerimonia rigorosamente privata  - debba cedere il passo rispetto al diritto ad avere un’informazione completa circa un episodio di rilevante ed articolata valenza pubblica (22).
Un riconoscimento diretto, invece, del diritto di cronaca come esimente del consenso del soggetto interessato è contenuto nella normativa sulla privacy che prevede che il trattamento nonché la comunicazione e diffusione di dati personali, possa aver luogo pur in assenza del consenso del soggetto interessato qualora il trattamento sia preordinato al perseguimento di finalità giornalistiche
La nuova normativa concernente il rapporto tra il diritto alla privacy ed il diritto di cronaca è contenuta negli articoli 136 e seguenti del Codice privacy che hanno sostanzialmente recepito quanto già stabilito dal citato art. 25 della Legge 675 del 1996.
In base a dette norme chiunque esegue la professione di giornalista indipendentemente dal fatto che sia iscritto all’elenco dei pubblicisti o dei praticanti o che si limiti ad effettuare un trattamento temporaneo finalizzato esclusivamente alla pubblicazione o diffusione occasionale di articoli saggi o altre manifestazioni del pensiero:
può procedere al trattamento di dati sensibili anche in assenza dell’autorizzazione del Garante rilasciata ai sensi dell’art. 26 del D. Lgs. 196 del 2003;
può utilizzare dati giudiziari senza adottare le garanzie previste dall’art. 27 del Codice privacy;
può trasferire i dati all’estero senza dover rispettare le specifiche prescrizioni previste per questa tipologia di dati;
non è tenuto a richiedere il consenso né per il trattamento di dati comuni né per il trattamento di dati sensibili.
In ogni caso, il legislatore ha previsto che restino fermi i limiti del diritto di cronaca a tutela dei diritti e delle libertà fondamentali nonché della dignità dell’interessato tra cui il diritto alla riservatezza, all’identità personale ed ai dati personali (23).



8 Il codice deontologico dei giornalisti

La tutela dell’immagine ha costituito oggetto di disciplina da parte del codice deontologico dei giornalisti pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 3 agosto 1998 e costituente, allo stato, l’allegato A1 del Codice privacy.
Il codice deontologico prevede, all’art. 6, che la pubblicazione dell’immagine, al pari delle altre informazioni, possa avere luogo esclusivamente nel caso in cui essa non contrasti  con il rispetto della sfera privata o si tratti di notizia di rilevante interesse pubblico o sociale.
In altri termini, il codice dei giornalisti ribadisce il principio di essenzialità del dato che può essere considerato come una specificazione del principio di pertinenza che ritrova attualmente, la propria fonte nell’art. 9 della legge 675/1996 (disposizione questa pienamente riportata nell’art. 11 del D. Lgs. 196 del 2003).
La stessa legge 675 del 1996, all’art. 25 comma 4 bis, stabilisce che “il giornalista rispetta i limiti del diritto di cronaca, in particolare quello dell’essenzialità dell’informazione riguardo i fatti di interesse pubblico ferma restando la possibilità di trattare dati relativi a circostanze o fatti resi noti direttamente dall’interessato o attraverso i suoi comportamenti resi in pubblico”.
I giudici di merito hanno ritenuto violato il principio di essenzialità  nella pubblicazione della fotografia di un soggetto che era stato sottoposto all’esame etilometrico da parte delle forze dell’ordine nel corso di controlli stradali. In via più dettagliata, i giudici hanno rappresentato che: In corso di causa non è emerso alcun elemento in base al quale il fatto diffuso dalla convenuta (ovvero la sottoposizione all’esame alcolimetro da parte di un singolo soggetto) possa considerarsi di “interesse pubblico”, ovvero l’informazione fotografica possa considerarsi “essenziale”(24).
Alla menzionata decisione la dottrina(25) ha imputato il difetto di non aver valutato l’eventuale violazione del diritto all’immagine in considerazione del fatto che l’evento del rilievo etilometrico si sarebbe svolto in pubblico.
Peraltro, il menzionato principio di essenzialità dell’informazione costituisce uno dei pilastri fondamentali del codice dei giornalisti che ha dedicato grossa attenzione alla pubblicazione delle immagini.
Infatti, l’art. 8 del codice deontologico, rubricato “La tutela della dignità delle persone” impone il divieto di pubblicazione delle immagini in soggetti coinvolti in fatti di cronaca qualora dette immagini siano lesive della dignità della persona fatta, in ogni caso, salva l’essenzialità dell’informazione.
Il medesimo articolo stabilisce l’obbligo per il giornalista di non riprodurre le immagini o le foto di persone in stato di detenzione senza il consenso dell’interessato, salvo che detta pubblicazione sia giustificata da ragioni di giustizia  o di polizia o sussistano rilevanti motivi di interesse pubblico.
Ed, infine, è previsto il divieto di raffigurare le persone con i ferri o le manette ai polsi, fatta eccezione le ipotesi nelle quali ciò sia necessario per segnalare abusi.






9 La tutela dei minori

Il codice deontologico dei giornalisti, con riferimento alla tutela dei minori stabilisce delle regole precise in ordine al trattamento di dati inerenti i minori riconoscendo espressamente la prevalenza del diritto alla riservatezza del minore rispetto al diritto di critica e di cronaca.
Il Codice, inoltre, prevede che nel caso in cui il giornalista decida di procedere, comunque, alla pubblicazione dell’immagine del minore questi dovrà farsi carico della responsabilità di valutare che la pubblicazione avvenga effettivamente nell’oggettivo interesse del minore, secondo i principi ed i limiti della Carta di Treviso.
Va, ad ogni modo, tenuto presente che sussiste il divieto di pubblicare le immagini dei minori qualora essi siano coinvolti in procedimenti penali (come stabilito dall’art. 13 del DPR 448 del 1988) o in qualsiasi altro tipo di procedimento  giudiziario.
Detto ultimo divieto è stato introdotto dal codice privacy (art. 50 del D. Lgs. 196 del 2003) che ha inteso, in tal modo, rafforzare la tutela dei minori delimitando ulteriormente la divulgazione o la pubblicazione di notizie o immagini che li riguardano.






















10 Le foto segnaletiche

Una particolare attenzione è stata dedicata, sia dal legislatore che dalla giurisprudenza, alla pubblicazione delle foto segnaletiche e delle immagini delle persone con i ferri o le manette.
La medesima Authority privacy - dopo aver assistito alla pubblicazione di fotografie segnaletiche o di immagini che ritraggono persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale - ha emesso un ormai noto provvedimento.
Ci si riferisce al provvedimento generale del marzo del 2003 (26) con cui il Garante per la protezione dei dati personali ha:
disposto il divieto, nei confronti di taluni editori e direttori responsabili di alcuni quotidiani, di procedere all’ulteriore diffusione delle immagini sopra indicate;
segnalato agli stessi soggetti di conformare i loro trattamenti di dati personali ai principi stabiliti dalla normativa vigente, anche a tutela dei dati personali, astenendosi da ulteriori trattamenti difformi;
disposto l’invio di copia del provvedimento ai competenti Consigli regionali ed al Consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti, al capo della Polizia di stato, ai Comandanti generali dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, al Direttore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e alle Autorità giudiziarie che precedono per i reati per i quali è avvenuto l’arresto e la cattura degli interessati.
L’emanazione del provvedimento in discorso è intervenuta a seguito della disamina congiunta di diversi casi riguardanti la pubblicazione, in cui alcuni quotidiani, di fotografie di persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale.
In via particolareggiata, le persone ritratte figuravano con le manette ai polsi, oppure mentre venivano tradotte in carcere, o ancora su foto segnaletiche o tratte da documenti di riconoscimento ovvero, infine, immagini nelle quali, pur non essendo visibili le manette, appariva evidente lo stato di coercizione fisica della persona ritratta.
Il Garante per la privacy ha evidenziato che nelle ipotesi vagliate gli editori avevano violato sia le norme previste nel codice deontologico dei giornalisti - il cui rispetto, si ricorda, rappresenta una delle condizioni di legittimità del trattamento dei dati - sia le norme previste dal nostro ordinamento giuridico a tutela dell’immagine.
In via specifica, oltre alle menzionate disposizioni previste dalla legge sul diritto d’autore e dal codice deontologico dei giornalisti, sono stati richiamati:
l’art. 114, comma 6 bis, del c.p.p. che vieta la pubblicazione dell’immagine di persona privata da libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all’uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica, salvo che la persona vi consenta;
l’art. 42 bis, comma 4 della Legge 354 del 1975 che stabilisce “nelle traduzioni sono adottate le opportune cautele per proteggere i soggetti tradotti (leggi ritratti) dalla curiosità del pubblico e da ogni specie di pubblicità, nonché per evitare ad essi inutili disagi”.
Il Garante per la privacy non ha, invece, ritenuto violate le disposizioni sopra indicate per la specifica ipotesi di pubblicazione delle immagini dei terroristi coinvolti nei fatti accaduti sul treno Roma – Firenze.
In questa ipotesi, infatti, l’Authority ha ritenuto che:
la pubblicazione delle immagini ben risultava giustificata da insopprimibili ragioni di giustizia e di polizia e non poteva ritenersi violato il principio di essenzialità dell’informazione.
 Il provvedimento del Garante di cui sopra è stato impugnato da uno dei quotidiani destinatari dello stesso  innanzi al Tribunale di Milano che ha ritenuto di poter accogliere talune delle motivazioni esposte dai procuratori della parte ricorrente e procedere, conseguentemente, all’annullamento del provvedimento per la parte relativa a due cronache riportare sul quotidiano l’8 febbraio del 2003 ed il 14 marzo del 2003.
Nel primo caso era stata pubblicata la fotografia di un detenuto. Il Garante ritenne che, nonostante nella foto non  fossero visibili le manette, risultava evidente lo stato di coercizione del detenuto in considerazione della presa alle braccia del personale di polizia.
I giudici milanesi hanno ritenuto illegittimo detto provvedimento poiché, in primo luogo il divieto di riprendere le foto di soggetti in stato di detenzione mira ad evitare  la pubblicazione di immagini di persone in evidente stato di privazione della libertà ed, in secondo luogo, “poiché la fotografia serve da commento ad un articolo intitolato “La Procura contro le Forze dell’Ordine: troppo spettacolo nell’arresto di Arce” e quindi è la testimonianza di una denuncia che riguarda l’arrestato nella sua posizione di parte lesa e che, lungi dall’offenderne l’onore, si pone a difesa dell’arrestato”.
Riguardo la seconda vicenda - concernente la pubblicazione delle fotografie di due persone accusate di omicidio - il collegio ha annullato il provvedimento poiché era certo che quelle immagini fossero riprese da foto segnaletiche  - tanto più che lo stesso Garante ha espresso il dubbio che esse fossero state tratte  da documenti di riconoscimento.
Peraltro, i giudici milanesi hanno ritenuto che la pubblicazione di dette immagini potesse ritenersi lecita poiché tesa a soddisfare il diritto di cronaca.
Come correttamente evidenziato dalla dottrina (V. nota 3) il collegio meneghino ha accolto un’interpretazione letterale restrittiva delle norme che si pongono a tutela della dignità della persona (quali quelle sopra richiamate) laddove detto diritto si contrappone ad un diritto di rango costituzionale quale quello di cronaca.














11 Il risarcimento del danno per violazione dell’immagine

La violazione del diritto all’immagine, con l’introduzione della normativa sulla privacy, può dar luogo sia al risarcimento di danni patrimoniali che di danni non patrimoniali.

1.1 I danni patrimoniali
Per quanto riguarda il risarcimento di danni patrimoniali i giudici di merito e di legittimità si sono sempre attenuti rigorosamente alla verifica dell’assolvimento dell’onere probatorio da parte dell’attore.
In mancanza, pertanto, della prova di aver subito danni di natura patrimoniale i giudici hanno sempre negato l’esistenza di un diritto al risarcimento.
Detta situazione non può dirsi modificata nemmeno con l’entrata in vigore della legge 675 che, all’art. 18, stabilisce che chiunque cagiona danni per effetto del trattamento di dati personali è tenuto al risarcimento ai sensi dell’art. 2050 del c.c..
Orbene, il richiamo, da parte del legislatore, all’articolo che disciplina l’esercizio dell’attività pericolosa non importa un’inversione dell’onere probatorio in merito alla sussistenza del danno da parte dell’attore ma determina unicamente l’insussistenza di un onere probatorio in relazione alla pericolosità dell’attività di utilizzo dei dati.
La menzionata qualificazione giuridica, infatti, è già stata effettuata da parte del legislatore con il richiamo all’art. 2050 del codice civile.
In questo senso si sono espressi sia il giudice partenopeo, con la sentenza del 3 febbraio del 2003, che i giudici biellesi, con la sentenza del 26 – 29 marzo del 2003.
Entrambi i giudici sono pervenuti al rigetto delle richieste di risarcimento dei danni patrimoniali derivanti dalla violazione del diritto all’immagine per mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte dell’attore.
Nel secondo caso, l’attore aveva lamentato danni per l’illegittima pubblicazione di foto emblematiche mentre, nel primo, i danni sarebbero derivati dall’effettuazione di riprese video senza la preventiva autorizzazione dei soggetti interessati.











11.2 I danni non patrimoniali
Il diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali derivanti dalla violazione dell’immagine, giuridicamente affermatosi solo con l’introduzione della normativa sulla privacy, non ha goduto di uniformità di vedute da parte dei giudici di legittimità e di merito.
In via preliminare, va ricordato che l’art. 29, comma 9, della Legge 675 del 1996 riconosce, al soggetto interessato, il diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali qualora i suoi dati siano trattati in violazione dell’art. 9 della medesima legge.
L’art. 9 della legge 675 del 1996 enuncia i principi di liceità, correttezza, esattezza ed aggiornamento dei dati nonché di pertinenza degli stessi.
I principi cardine di detto articolo sono stati ribaditi con maggiore enfasi dall’art. 11 del Codice privacy che così recita. “I dati personali oggetto di trattamento sono:
trattati in modo lecito e secondo correttezza;
raccolti e registrati per scopi determinati, espliciti e legittimi, ed utilizzati in altre operazioni del trattamento in termini compatibili con tali scopi;
esatti e, se necessario, aggiornati;
pertinenti, completi e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono raccolti o successivamente trattati;
conservati in una forma che consenta l’identificazione dell’interessato per un periodo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamente trattati.
I dati personali trattati in violazione della disciplina rilevante in materia di trattamento dei dati personali non possono essere utilizzati.”
La giurisprudenza di merito affrontando i primi casi di richieste di risarcimento dei danni non patrimoniali per violazione del diritto all’immagine, come anticipato, non ha deciso in modo uniforme.
In questa sede ci si limita a considerare gli aspetti salienti delle due sentenze plurimenzionate del Tribunale di Biella e del Tribunale di Napoli.
Uno degli aspetti comuni delle due decisioni è costituito, oltre che dal rigetto della richiesta di risarcimento dei danni patrimoniali, dalla delimitazione del loro ambito di analisi alla normativa sulla privacy. Entrambi i giudici, in sostanza, hanno omesso di valutare un’eventuale violazione della normativa a tutela del diritto d’autore.
Il percorso logico argomentativo seguito dai giudici di merito si è diversificato sulla domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali tanto è che l’uno ha accolto la richiesta l’altro l’ha rigettata.
Difatti, i giudici partenopei, con la sentenza del 3 febbraio del 2003, hanno rigettato la richiesta di risarcimento dei danni non patrimoniali per violazione del diritto all’immagine dopo aver rilevato che nel caso analizzato non vi era stata una violazione dell’art. 9 della legge 675/1996 bensì unicamente una violazione del principio consensualistico.
Le riprese video, difatti, erano state fatte con il sistema della candid camera senza raccogliere preventivamente il consenso dell’interessato.
È appena il caso di far cenno alla circostanza che il giudice partenopeo è incorso in un errore nell’individuare le norme violate dal Titolare del trattamento del dato avendo fatto riferimento unicamente all’art. 10 della Legge 675, concernente l’informativa, e non anche agli artt. 11 e 20 riguardanti, invece, la prestazione del consenso preventivo dell’interessato per il trattamento e la diffusione delle immagini.
In ogni caso, le motivazioni giuridiche addotte dal giudice partenopeo - a sostegno della sua decisione di rigetto della richiesta di risarcimento dei danni non patrimoniali - vanno certamente ritenute errate in diritto.
Nel caso disaminato, infatti, ben poteva ravvisarvi una violazione dell’art. 9 della legge 675 del 1996 posto  che esso stabilisce l’obbligo per il titolare  di trattare i dati secondo liceità e correttezza e, nella fattispecie analizzata dai giudici partenopei, ben poteva ravvisarsi una violazione di entrambi i principi.
E’ possibile ravvisare una violazione del principio di liceità, di cui all’art. 9 della Legge 675 (o all’art. 13 del Codice privacy) ogni qualvolta il titolare del trattamento dei dati non adempia agli obblighi previsti dalla normativa sulla privacy che, ovviamente, costituiscono una condizione di liceità dell’uso dei dati e, quindi, delle immagini.
Nella fattispecie in discorso erano stati violati sia l’articolo 10 sia gli artt. 11 e 20 della vigente normativa privacy. Difatti, condizioni di liceità del trattamento è che il soggetto interessato abbia prestato il suo consenso preventivo al trattamento ed alla diffusione (ciò significa che esso doveva essere raccolto prima delle video riprese) e che detto consenso sia stato previamente informato (il rilascio dell’informativa costituisce una delle condizioni di validità del consenso).
Il principio di correttezza, invece, impone al titolare di comportarsi secondo buona fede: appare ovvio che, nel caso in esame, al fine di ravvisare la violazione del principio di correttezza sia bastevole la circostanza che i soggetti ritratti siano stati avvicinati tramite la pubblicazione di un fasullo annuncio di lavoro.
Quanto detto basta per ritenere la sentenza dei giudici partenopei certamente impugnabile.
I giudici biellesi, invece, hanno accolto la richiesta di risarcimento di danni non patrimoniali per la pubblicazione illecita di una foto emblematica. La fattispecie concreta sottoposta alla loro attenzione, come si è avuto modo di accennare, riguardava la pubblicazione, da parte di un quotidiano locale, di una foto di un soggetto mentre si sottoponeva all’esame etilometrico.
I giudici di merito, in questo caso, hanno ritenuto che la violazione del principio di essenzialità dell’informazione avesse integrato, a sua volta, una violazione dell’art. 9 della Legge 675 del 1996. Quest’ultima disposizione, infatti, stabilisce, tra i diversi principi anche quello di pertinenza del dato. Orbene, è noto che il principio di essenzialità si trova in un rapporto di species a genus rispetto a quello di pertinenza dei dati.
La correttezza del percorso logico giuridico seguito dai giudici biellesi nel riconoscimento del danno non patrimoniale per violazione del diritto all’immagine, tuttavia, non rende la decisione immune da censure in considerazione di due rilevanti elementi.
In primo luogo, come già rilevato da una parte della dottrina, il Tribunale ha omesso di considerare la sussistenza o meno di un’eventuale violazione della normativa  sulla tutela del diritto d’autore.
In secondo luogo, la sentenza si pone in contrasto con il più recente orientamento della Corte di Cassazione proprio in relazione al riconoscimento dei danni non patrimoniali per violazione del diritto all’immagine.
Infatti, con la sentenza n. 4366 del novembre del 2002, depositata solo alla fine del marzo del 2003 (27), i giudici di legittimità, analizzando un’ipotesi di illegittima pubblicazione dell’immagine, hanno evidenziato che all’accertamento del carattere della pubblicazione non faccia seguito un’automatica risarcibilità poiché il danno patrimoniale o morale conseguente alla illegittima pubblicazione non può essere ravvisato in re ipsa.
I giudici hanno aggiunto che la parte che chiede il risarcimento del danno prodotto da tale illecito deve provare il pregiudizio non solo al suo patrimonio ma anche alla sua persona indipendentemente dall’entità e dalla difficoltà di fornire la prova.
La decisione ha sortito diverse critiche nel mondo giuridico ponendosi in contrasto rispetto alle precedenti pronunzie  dei giudici cassazionisti che, invece, avevano considerato il danno non patrimoniale come in re ipsa.
 In conclusione sarebbe auspicabile sia un intervento delle Sezioni Unite della Cassazione, finalizzato ad attualizzare quel potere nomofilattico che gli è proprio, sia un intervento del legislatore teso ad armonizzare le diverse norme giuridiche presenti nel nostro ordinamento giuridico a tutela del diritto all’immagine.
A detto ultimo proposito una ghiotta occasione potrebbe essere costituita dall’auspicato testo unico sul copyright richiesto a gran voce da buona parte della dottrina.

NOTE
(1) La sentenza del 3 febbraio del 2003 del Tribunale di Napoli è stata pubblicata in Giurisprudenza napoletana, 5/2003, pag. 191.
(2) La sentenza è stata pubblicata in Guida al diritto del 19 aprile del 2003, Il Sole 24 ore, n. 15 pag. 70.
(3) La pronunzia del Tribunale di Milano del 26 giugno del 2003 è stata pubblicata in Guida al diritto, Il Sole 24 ore, n. 37 del 27 settembre del 2003, pag. 55. Per un commento della medesima pronunzia vedi Le limitazioni all’attività giornalistica non possono essere estese in via analogica, di Carlo Melzi d’Eril, Guida al diritto, cit. pag. 57.
(4) V. art. 96 LDA.
(5)  V. Cass. Civ. sez. I, 25 giugno 2002, n. 9249 in Giust. Civ. Mass. 2002, 1090. Circa la necessità del consenso espresso v. l’art. 23 del D. Lgs. 196 del 2003 e l’art. 11 della legge 675/1996.
(6) V. Tribunale di Roma del 24 gennaio del 2002, in Giur. Merito 2002, 990.
(7) V. Tribunale di Napoli del 20 giugno del 2001 in Giur. Merito 2002, 756.
(8) Ufficio indagini preliminari di Milano, 11 maggio del 2000, in Giur. Merito 2001, 460.
(9) V. art. 21 della Costituzione.
(10) V. art. 1, comma 2, lett. c) della Legge 675/1996.
(11) V. Decisioni dell’Autorità Garante del 15 maggio del 2002 e del  19 febbraio del 2002.
(12) V. Decisione del Garante per la protezione dei dati personali del 21 ottobre del 1999.
(13) I giudici di legittimità, infatti, sin dagli anni settanta, hanno escluso l’abuso di immagine in presenza di un consenso implicito o esplicito del soggetto interessato (Cass. Civ. 73/3290).
(14) V. art. 11 della Legge 675 del 1996 ed art. 23 del D. Lgs. 196 del 2003. Si ritiene opportuno evidenziare che altri Paesi europei recependo la Direttiva 95/46, concernente la tutela dei dati personali, hanno ammesso la validità del consenso implicito. La differenza tra opt in ed opt out non è di poco conto ed in Italia ha pesato, soprattutto in termini economici, in capo alle aziende che esercitano attività di direct marketing. L’opt in, infatti, ha innalzato sensibilmente i costi non solo per la raccolta del consenso ma anche per l’introduzione di procedure di gestione dei ritorni di consenso resesi, praticamente, indispensabili anche per non esporsi al rischio di attivazione di procedimenti penali per il reato di illegittimo trattamento dei dati di cui all’art. 35 della Legge 675 del 1996. Detta fattispecie criminosa è stata confermata dall’art.  167 del Codice privacy.
(15) Il consenso della persona ritratta, tuttavia, non è sufficiente ad escludere l’abuso qualora la pubblicazione  dell’immagine sia  tale da recare pregiudizio al decoro ed alla reputazione della persona, fatta salva la prevalenza della finalità di informare il pubblico circa un fatto socialmente rilevante.
(16) Riguardo l’obbligo di notificazione al Garante si ritiene opportuno ricordare che dal gennaio del 2004, data di entrata in vigore della quasi totalità delle norme contenute nel codice privacy, l’obbligo di notificazione sussisterà esclusivamente in determinati casi, per cui, di norma chi effettuerà il trattamento di immagini non sarà tenuto ad effettuare la preventiva notificazione al Garante salvo che rientri in uno dei casi specifici previsti dall’art. 37 del menzionato decreto come, ad esempio, qualora vengano utilizzate immagini tali da individuare lo stato di salute della persona e siano utilizzate per la prestazione di servizi sanitari o la fornitura di beni o altre finalità espressamente indicate dalla menzionata norma del D. Lgs. 196/2003.
(17) V. art. 25 del D. Lgs. 196 del 2003.
(18) V. Sent. Cit..
(19) L’art. 97 della LDA stabilisce che il consenso della persona ritratta non è necessario quanto la riproduzione dell’immagine è giustificata dalla notorietà  o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità d giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, o quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico. Il secondo comma della medesima norma stabilisce che in ogni caso il ritratto non possa essere sposto o messo in commercio quando dette operazioni rechino pregiudizio all’onore, alla reputazione o anche al decoro della persona.
(20) Le norme di riferimento fino al dicembre del 2003 sono costituite dagli artt. 12 e 20 della Legge 675 del 1996 che stabiliscono rispettivamente le esimenti al consenso per il trattamento dei dati e le condizioni di equipollenza per la comunicazione e diffusione dei dati. Detti articoli sono stati unificati ed incorporati  nell’art. 24 del Codice privacy rubricato  “Casi nei quali può essere effettuato il trattamento senza il consenso” che esplicherà i suoi effetti giuridici dal 1 gennaio del 2004.
(21) V. art. 24, comma 1, lett. g) del Codice privacy.
(22)V. Tribunale di Roma del 24 gennaio del 2002, in Giur. Merito, 2002, pag. 990.
(23) In questo senso va letto, ad esempio, il divieto del Garante di pubblicare la foto di una giovane malata del morbo della mucca pazza.
(24) In detta circostanza i giudici biellesi (sent. cit.) hanno rigettato la richiesta di risarcimento del danno patrimoniale poiché non provato dall’attore mentre hanno condannato l’editore di un quotidiano locale al risarcimento di danni non patrimoniali determinati equitativamente in 4.000 Euro tenendo conto della potenzialità della diffusione di un mezzo di mediazione informativa. Il Tribunale di Biella, infatti, ha motivato la sua decisione ritenendo che l’attore aveva fornito gli elementi in ordine alla circostanza della pubblicazione della fotografia riconosciuta da parecchi conoscenti dell’esponente nonché da persone incontrate casualmente. Detto evento, secondo i giudici, ha costituito, di per sé solo,  il naturale ed immediato disagio connesso alla violazione della privacy, diritto la cui funzione primaria - sempre a dire dei giudici biellesi - è proprio quella di non rendere pubblici fatti che possono e devono rimanere confinati nella sfera privata. Gli stessi giudici, infatti, hanno ritenuto che la legge 675/1996 indica le forme di tutela, comprese quelle risarcitorie per la tutela del diritto alla riservatezza.
In verità i giudici hanno equiparato in toto il diritto alla tutela del dato personale al diritto alla riservatezza mentre il primo, con l’entrata in vigore della normativa sulla privacy, è assurto a diritto avente dignità autonoma e non più strumentale rispetto ad altri beni personalissimi. E’ in questo senso, infatti, che vanno interpretati gli articoli 1 e 2, co. 1, del Codice privacy laddove il primo statuisce che “Chiunque ha diritto alla protezione dei dati personali che lo riguardano” ed il secondo che il “codice garantisce che il trattamento si svolga nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché della dignità dell’interessato con particolare riferimento alla riservatezza, all’identità personale ed al diritto alla protezione dei dati personali”.
(25) V. La tutela eccessiva del diritto alla riservatezza può scatenare un contenzioso di ingenti proporzioni, di Caterina Malavenda e Carlo Melzi d’Eril, in Guida al diritto, Il Sole 24 ore,  numero 15 del 19 aprile del 2003, pag. 75 e ss..
(26) Il provv. è stato pubblicato in Guida al diritto, Il Sole 24 ore, numero 17 del 3 maggio del 2003, pag. 110.
(27) La sentenza è stata pubblicata su Il Mondo giudiziario n. 19/2003.


Il suddetto articolo deve pertanto essere letto congiuntamente agli artt. 96 e 97 della Legge sul Diritto d’Autore (633/41) (d’ora innanzi L.d.A.) che disciplina e regolamenta i casi in cui è possibile riprodurre e sfruttare economicamente il diritto all’immagine altrui.
L’art. 96 della L.d.A. introduce nel nostro ordinamento il c.d. “principio del consenso” stabilendo che per riprodurre, esporre o mettere in commercio l’immagine di una persona è sempre necessario ottenere il suo consenso. È importante sottolineare che in forza di detto principio, non viene mai ceduto il diritto all’ immagine, che rimane personalissimo ed inalienabile, ma solo l’esercizio dello stesso.
Quanto alle modalità attraverso le quali il consenso può essere manifestato, la legge non prevede che vengano rispettati particolari vincoli di forma, potendo lo stesso essere rilasciato sia in forma espressa che implicita.
Uno degli aspetti fondamentali che non deve essere trascurato quando si tratta di diritto all’immagine, sono i limiti entro cui il consenso posti dall’effigiato all’uso della propria immagine deve essere contenuto. Limiti che la giurisprudenza impone di valutare in modo estremamente rigoroso sia con riferimento alle circostanze di tempo, di luogo e di finalità per cui il consenso è stato prestato (c.d. limiti oggettivi) che con riguardo esclusivo al soggetto e/o soggetti in favore dei quali il consenso è stato rilasciato (c.d. limiti soggettivi). A tal proposito ricordiamo, a titolo di esempio, che il Tribunale di Roma (sentenza del 7.10.1988) in occasione di una vicenda occorsa ad Enrica Bonaccorti ha escluso che il consenso prestato agli inizi della carriera dalla conduttrice televisiva alla diffusione di fotografie in cui era ritratta nuda potesse ritenersi esteso alla divulgazione delle stesse a distanza di alcuni anni.
La L.d.A., all’art. 97, prevede poi delle specifiche deroghe alla c.d. regola del consenso del soggetto ritratto, stabilendo che si può legittimamente prescindere dallo stesso, quando la pubblicazione dell’immagine è giustificata:
  1. a) dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto della persona ritratta;
  2. b) quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico;
  3. c) da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali.
Tuttavia, la giurisprudenza è intervenuta più volte nel corso degli anni per regolamentare e disciplinare le deroghe di cui all’art. 97 L.d.A. Con specifico riferimento alla riproduzione delle immagini della persona famosa è stato stabilito che la notorietà è necessaria, ma non sufficiente a giustificare l’assenza del consenso, essendo invece imprescindibile che la divulgazione dell’immagine risponda ad esigenze di pubblica informazione, ove con pubblica informazione si intende a) voler far conoscere al pubblico le fattezze di una persona notoria, b) documentare visivamente le notizie che di questa persona vengono date al pubblico.
Dal principio secondo cui solo in  presenza di esigenze di pubblica informazione la divulgazione dell’immagine della persona notoria, anche in assenza del suo consenso, può essere considerata lecita, discende che una tale esigenza non sussiste nel caso di riproduzione dell’immagine di cantanti, attori o comunque personaggi celebri su capi di abbigliamento che ha un evidente ed esclusivo fine di commercializzazione. Né risponde ad esigenze di pubblica informazione la divulgazione di immagini ritraenti particolari fisici o aspetti di vita strettamente personali e privati di personaggi notori. Pubblicare, ad esempio, su giornali o riviste foto ritraenti la cellulite di una modella e di un’attrice o lo scambio di effusioni tra due persone famose non risponde a finalità di pubblica informazione, come invece gli editori di molte riviste c.d. di gossip o di cronaca rosa vorrebbero far credere, tentando di nobilitare a diritto all’informazione lo scopo meramente lucrativo perseguito attraverso la pubblicazione di foto volte solo a soddisfare la morbosa curiosità del lettori. Risponde invece a scopi di pubblica informazione idonea a legittimare la pubblicazione dell’immagine di un personaggio notorio a prescindere dal suo consenso, ritrarre lo stesso mentre svolge un’attività attinente all’ambito per il quale lo stesso è acquistato notorietà tra il pubblico. A titolo esemplificativo, non sarà necessario chiedere il consenso alla divulgazioni di foto di un attore scattate durante una premiazione per la sua carriera o quelle che documentano la sua partecipazione ad un film, ad uno spettacolo teatrale, ad una trasmissione televisiva o radiofonica.
Con specifico riguardo alla libertà di riprodurre e divulgare immagini riprese durante fatti di interesse pubblico o svoltisi in pubblico, occorre precisare che non è sufficiente che la persona sia ritratta nella cornice di un luogo pubblico (ad es.: una spiaggia, una piazza, un pubblico giardino ecc.), ma è anche necessario che in tale luogo si svolga un episodio di una certa rilevanza a cui la riproduzione è collegata (ad es. che si svolga una manifestazione in una piazza). Per lo stesso motivo, anche eventi svoltisi in privato, ma di interesse pubblico, possono legittimare la libera divulgazione dell’immagine.
Come nel caso del personaggio notorio, la deroga al c.d. principio del consenso deve essere interpretata restrittivamente in quanto la giurisprudenza del nostro Paese ha ritenuto sacrificabile il diritto all’immagine solo in presenza di un’esigenza sociale connessa al diritto di cronaca e all’interesse generale dell’informazione. Stante che solo in questo caso la raffigurazione diventa un elemento accessorio, ma necessario al resoconto dei fatti narrati e la persona ritratta non potrebbe invocare esigenze di privatezza, proprio per la partecipazione a tali fatti.
Deve poi essere precisato che per poter liberamente utilizzare l’immagine è necessario che il nesso di pertinenza tra la riproduzione dell’immagine e l’evento pubblico o di interesse pubblico sussista non soltanto al momento di fissazione della stessa (ossia quando è ripresa mediante scatti fotografici o telecamere) ma permanga per tutto l’arco temporale della sua divulgazione, connotando, sia pure in versione rievocativa dell’evento iniziale, tutti i successivi episodi di riproduzione.
Con riferimento ai casi di deroga al principio del consenso della persona ritratta per fini scientifici, culturali o didattici, è stato precisato che con essi si intende fare riferimento alle riproduzioni di immagini in libri di antologia o trattati scientifici o culturali, o quando la pubblicazione è necessaria per far conoscere delle opere artistiche consistenti in ritratti di personaggi famosi (si pensi ad esempio alle opere di Andy Warhol). Infine i fini di giustizia e polizia che possono legittimare la libera riproduzione di immagini sono quelli in cui la stessa è resa pubblica per fini di indagini (ad esempio diffondere foto segnaletiche di una persona scomparsa o ricercata dalla polizia).
Non deve in ogni caso essere trascurato che la legge, ed in particolare l’art. 10 del c.c. e l’art. 97 co. 2 L.d.A., stabilisce un’“eccezione all’eccezione” stabilendo che in ogni caso il ritratto non può essere esposto o messo in commercio quando l’esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all’onore, alla reputazione e al decoro della persona ritratta.
L’uso della immagine altrui in assenza di consenso o fuori dei casi previsti dalla legge, o comunque in pregiudizio del suo onore e reputazione rappresenta un vero e proprio atto illecito da cui può derivare un danno sia di natura patrimoniale che morale.
In particolare il danno patrimoniale riguarda la lesione del diritto allo sfruttamento economico della propria immagine e la riduzione del suo valore commerciale, nonché la lesione del diritto di sfruttare la propria notorietà.
Il criterio spesso utilizzato dai giudici per quantificare il danno derivante dall’abuso del diritto d’ immagine è quello del “prezzo del consenso” cioè del compenso che avrebbe presumibilmente richiesto l’interessato concedere il suo consenso alla pubblicazione.
È evidente che l’illegittima pubblicazione delle immagini può cagionare anche una lesione del diritto alla protezione dei dati personali e del diritto alla riservatezza, obbligando l’autore dell’illecito a risarcire il danno morale. Danno morale che non può essere ritenuto in re ipsa, ma deve essere oggetto di specifica prova.

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Diritti degli attori
La Legge sul Diritto d’Autore riserva una serie di articoli alla categoria degli artisti interpreti ed esecutori (attori). Gli articoli riservati a questi collettivi si ritrovano nel Titolo II, Capo III (Diritti degli attori, degli interpreti e degli artisti esecutori) dall’art. 80 all’art. 85-bis. La Legge sul Diritto d’Autore esclude gli attori dall'attribuzione del diritto d'autore ma difende gli aspetti patrimoniali e morali a tutela della personalità dell’attore. Non si può parlare di diritto d’autore in quanto il lavoro dell’attore, pur essendo un lavoro di tipo intellettuale, è nettamente minore rispetto al lavoro dell’autore che ha creato la parte. L'opera che gli attori interpretano esiste già prima dell’interpretazione e per questo capace di vita propria. L’art. 80 recita: gli artisti interpreti e gli artisti esecutori hanno, indipendentemente dall'eventuale retribuzione loro spettante per le prestazioni artistiche dal vivo, il diritto esclusivo di:
·         autorizzare la fissazione delle loro prestazioni artistiche;
·         autorizzare la riproduzione diretta o indiretta, temporanea o permanente, in qualunque modo o forma, in tutto o in parte, della fissazione delle loro prestazioni artistiche;
·         autorizzare la messa a disposizione del pubblico in maniera tale che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente, delle fissazioni delle proprie prestazioni artistiche e delle relative riproduzioni;
·         autorizzare il noleggio o il prestito delle fissazioni delle loro prestazioni artistiche e delle relative riproduzioni: l'artista interprete o esecutore conserva il diritto di ottenere un'equa remunerazione per il noleggio concluso dal produttore con terzi.
Gli attori (artisti interpreti ed esecutori) hanno il diritto di opporsi alla comunicazione al pubblico o alla riproduzione della loro recitazione o esecuzione che possa essere di pregiudizio al loro onore o alla loro reputazione (art. 81). L’attore non può essere riconosciuto coautore ma all’art. 83 gli viene riservato il diritto che il suo nome sia indicato nella comunicazione al pubblico e venga stabilmente apposto sui supporti contenenti la relativa fissazione, come ad esempio le pellicole cinematografiche. I diritti degli artisti durano cinquant'anni a partire dall'esecuzione, rappresentazione o recitazione.
















Diritto d’autore - programmi televisivi - riconoscimento del diritto - condizioni - format – necessità

In tema di diritto di autore rispetto a programmi televisivi, la Corte ha ritenuto necessario, ai fini del riconoscimento del diritto, l’esistenza del cosiddetto "format", o struttura esplicativa ripetibile del programma, a prescindere dalla assoluta novità e originalità dell'opera.

SVOLGIMENTO del PROCESSO

Il Tribunale di Lucca, con sentenza del 13 agosto 2002, rigettava la domanda proposta da M.M. nei confronti della s. r. l. Vallau Italiana Promomarket, per il pagamento di £ 464.694.258 quale compenso residuo per i diritti d'autore ancora dovutogli a integrazione della somma mensile di £ 3.000.000 oltre IVA, versata ad una società e destinata all'istante, per effetto d'un contratto scritto concluso dalle parti, avente ad oggetto l'attività dell'attore, svolta nell'ideazione e esecuzione di programmi televisivi prodotti e trasmessi dalla convenuta.

Ad avviso del primo giudice era valida la previsione, nel contratto di cui sopra, di un compenso minore rispetto a quello previsto dalle tabelle SIAE, per le attività oggetto dell'accordo, non essendo tali tabelle imperative ed essendo disponibili i diritti in esse regolati anche per somme minori; pertanto il versamento mensile erogato, come confermato dai testi escussi, doveva ritenersi comprendere il corrispettivo di tutte le prestazioni del M.M..

L'appello degli eredi dell' attore, deceduto nelle more, MAS. e MAR. M. e MG. B., impugnava la sentenza di primo grado, per avere ritenuto che il compenso fissato in contratto coprisse anche i diritti d'autore per le sceneggiature e i testi delle trasmissioni televisive della emittente "Rete Mia" di proprietà di controparte e non la sola "realizzazione" di esse da M.M. quale attore e protagonista dei programmi, nessun rilievo avendo il fatto che egli fosse collaboratore stabile o "consulente" della emittente televisiva, come previsto in contratto.
Secondo gli appellanti, dalla prova testimoniale assunta erroneamente il Tribunale aveva dedotto che il corrispettivo concordato fosse comprensivo di quanto dovuto per diritti d'autore, che invece non era stato interamente corrisposto, per cui erano dovute le differenze pretese.
A tale gravame ha resistito la Home Shopping Europe Broadcasting s.p.a., succeduta alla originaria convenuta, e l'appello è stato rigettato con sentenza del 13 settembre 2004, notificata il 30 dicembre successivo, della Corte d'appello di Firenze. La Corte di merito non solo ha considerato valido il contratto di cui sopra da leggere nei sensi indicati dal tribunale, ma ha ritenuto "alquanto dubbio che i programmi ideati dal M.M." potessero considerarsi "opere dell'ingegno come tali tutelate dalla legge sul diritto d'autore", perchè privi di "interesse culturale" contenenti "divagazioni demenziali" del dante causa degli appellanti nei programmi ideati, definito nel contratto "consulente" della controparte (le parole tra virgolette sono alle pagg. 2 e 3 della sentenza impugnata)
Le idee del M.M. prevedevano infatti trasmissioni, la cui ideazione non esprimeva alcuna creatività sia pure soggettiva, essendo l'andamento del programma rimesso alla improvvisazione e alla capacità di attore, interprete e protagonista dello stesso ideatore, come poteva rilevarsi dalla descrizione di alcune di tali ideazioni, con la previsione dei titoli e il richiamo a dialoghi improvvisati del presentatore-protagonista con gli spettatori in studio, i telespettatori o soggetti incontrati in strada e coinvolti in scherzi o nella soluzione di indovinelli. L'appello era quindi rigettato e le spese del secondo grado erano poste a carico degli appellanti M.M. e B. che, per la cassazione di tale sentenza, hanno proposto ricorso di tre motivi, notificato il 15 febbraio 2005, cui ha replicato con controricorso, notificato il 24 marzo 2005, la Home Shopping Europe Broadcasting s. p. a.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Il primo motivo di ricorso deduce violazione degli artt. l e 110 della legge 22 aprile 1941 n. 633 e dell'art. 2581 c. c. dalla sentenza impugnata, per avere negato il carattere creativo delle opere di M.M. e la tutelabilità dei suoi diritti quale autore dei programmi televisivi utilizzati da controparte, in applicazione della norme che precedono e che si pretendono disapplicate. L'art. 1 della legge n. 633 del 1941 specifica che sono opere dell'ingegno quelle appartenenti "alla letteratura, alla musica ... al teatro e alla cinematografia, ne sia il modo o la forma di ed è norma che, secondo la giurisprudenza costante della Cassazione, tutela la creatività in senso soggettivo a differenza di quanto accade nell'invenzione, non occorrendo quindi, per domandare i diritti di utilizzazione di tali opere, una creazione oggettiva, assolutamente originale e nuova, né potendo escludersi tale tutela per avere l'opera un contenuto minimo o fondato su nozioni modeste o elementari (si cita in ricorso Cass. 11 agosto 2004 n. 15496) La Corte di merito avrebbe dovuto dedurre dallo stesso contratto concluso dalle parti per iscritto, il trasferimento della titolarità dei diritti di sfruttamento economico delle opere di ingegno del M.M. alla emittente appellata, la quale per essi doveva versare il residuo corrispettivo all'autore.
La controricorrente deduce l'inammissibilità o infondatezza del motivo di ricorso che denuncia solo l'errata valutazione, dai giudici del merito, dei caratteri creativi e original i delle idee di programmi tel evisivi realizzate dal M.M., in base alle prove documentali in atti e a quelle testimoniali assunte, le cui risultanze non sono in alcun modo smentite dal ricorso, che neppure in sintesi precisa gl i errori della Corte d'appello.
Non è chiara la ragione per cui è censurata la sentenza della Corte d'appello che esclude ogni originalità e creatività dei programmi oggetto di causa, perché frutto di improvvisazione del M.M., con una valutazione nel merito delle idee proposte per realizzare trasmissioni, la cui struttura non risulta chiara, domandando comunque un nuovo esame di esse, precluso in sede di legittimità.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la contraddittorietà di motivazione della sentenza impugnata, fondata sulla pretesa modestia della qualità dei programmi televisivi ideati dal dante causa dei ricorrenti, per affermarne la non tutelabilità come opere di ingegno.
Da tale premessa contestabile è dedotta dai giudici del merito la omnicomprensività del compenso di cui al contratto concluso dalle parti originarie della causa, confermata pure dai testi, senza rilevare che con essa si giustifica pure la mancata previsione nel detto atto, di qualsiasi corrispettivo per i diritti d'autore per la utilizzazione dei programmi dalla emittente per i due anni successivi, mentre il pagamento mensile copriva le sole prestazioni d'esecuzione dei programmi del M.M., versato alla società gestita dal figlio di questo.
Pur mancando un atto in forma scritta che prevedesse la cessione del diritto d'autore dal dante causa dei ricorrenti alla società del figlio, deve considerarsi che di tale diritto era stato pagato solo il 10% di quanto fissato nelle tabelle SIAE, e quindi deve presumersi per i ricorrenti che il M. potesse pretendere le differenze chieste, avendo controparte fatto circolare e utilizzato le trasmissioni ideate dall'altro contraente, dopo la loro realizzazione.
La società controricorrente, non avendo corrisposto i diritti d'autore al M.M., non poteva trasmettere i programmi di lui successivamente alla loro realizzazione, avendo pagato solo quanto dovuto per l'attività di esecuzione delle trasmissioni e non il compenso per la creazione dei programmi. Replica la resistente che, in mancanza della stessa opera d'ingegno accertata dalla Corte di merito, non poteva che rilevarsi, come punto decisivo della pronuncia di questa, l'affermata omnicomprensività del corrispettivo, confermata dal le deposizioni dei testi Masala e Calosi oltre che dal comportamento dello stesso M.M. che, nei due anni di esecuzione di programmi per l'emittente, mai aveva chiesto a quest'ultima i diritti d'autore oggetto di causa.

1.3. Con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza di merito per falsa applicazione dell' art. 2581 c. c. e dell'art. 110 della citata legge n. 633 del 1941. Il compenso forfettizzato cui si riferiscono i giudici del merito attiene alla mera attività esecutiva di regista, sceneggiatore e attore di M.M., ma non copre il diritto d'autore, risultando che esso è stato corrisposto ad una società di capitali gestita dal figlio di lui, con la conseguenza che a questa si sarebbero ceduti oralmente tali diritti, in violazione dell'art. 110 della legge n. 633 del 1941, non prevedendosi compenso per l'opera di ingegno poi sfruttata dalla controricorrente. Deduce la resistente che tale motivo di ricorso attiene al merito della controversia, di cui è chiesto un inammissibile riesame in sede di legittimità.

2.1. Il primo motivo d'impugnazione è infondato in ordine alla violazione di entrambe le norme in esso indicate, anche se è opportuna una precisazione della motivazione di merito, ai sensi dell'art. 384, ultimo comma, c. p. c. Indipendentemente dallo speciale diritto di utilizzare le opere televisive dell'emittente di esse, di cui all'art. 65 della legge sul diritto d'autore e all'art. Il del D. Lgs. 16 novembre 1994 n. 685 ( Cass. 2 settembre 2005 n. 17699) , la pronuncia di merito considera immeritevoli di tutela le idee dei programmi posti del M.M., dubitando che le stesse possano qualificarsi "opere dell'ingegno"
La Corte d'appello giunge a tale conclusione in ragione del carattere di mero "passatempo" delle idee proposte dall'originario attore e a causa della loro carenza di "ambizione culturale", negandone la "creatività" anche solo soggettiva e la loro tutelabilità, ai sensi della legge sul diritto d'autore, anche se ne rileva la "originalità".
La Corte di merito, ritenuta non provata la esistenza di dialoghi redatti e di sceneggiature predisposte dal M.M. per i programmi per cui è causa, descrive le relative trasmissioni come costituite da un titolo e da uno sviluppo degli eventi da trasmettere improvvisato, pur se da svolgere nell'ambito di un'idea proposta per dialoghi solo eventuali, in base a quanto poteva accadere in trasmissione tra l'attore-presentatore e i terzi.
Pur affermandosi che il concetto giuridico di creatività nel diritto d'autore è comunque soggettivo e prescinde da una assoluta novità e originalità dell'opera, ritenendosi tutelabile anche idee modeste e nozioni semplici (così Cass. 12 marzo 2004 n. 5089, anteriore alla sentenza citata in ricorso cui si rifà anche Cass. 27 ottobre 2005 n. 20925) , si è però sempre ritenuto necessario per la tutelabilità del diritto d'autore. che tali idee possano essere colte "nella loro individualità, quale oggetto di elaborazione personale di carattere creativo da parte dell'autore" (Cass. 29 maggio 2003 n. 8597).
La Corte d'appello ha invece negato nella specie la stessa configurabilità del concetto di opera dell'ingegno, ritenendo inesistenti i caratteri dei c.d. "formats" o "formati" nelle idee di programmi e trasmissioni proposte dal M.M. e oggetto di causa, per la mancanza di un loro "canovaccio" idoneo a caratterizzarne il concreto svolgimento, con indicazione degli eventi da trasmettere di regola improvvisati, per cui l'andamento del programma era rimesso alle doti d'attore del M.M..
In assenza di una definizione normativa del concetto di "format", cioè della c. d. idea base di programma televisivo come modello da ripetere anche da altre emittenti o in altre occasioni, non può che farsi riferimento a quanto risulta dal bollettino ufficiale della SIAE n. 66 del 1994, p. 546, in ordine ad esso ai fini del deposito delle opere dell'ingegno, anche perchè lo stesso M.M. e i suoi eredi fanno espresso riferimento alla stessa Società e alle tabelle da essa predisposte, per la liquidazione di quanto preteso in questa causa a titolo di diritti d'autore.
Per la SIAE "si intende per formato l'opera d'ingegno, avente struttura originale esplicativa di uno spettacolo e compiuta nelle articolazioni delle sue fasi sequenziali e tematiche, idonea ad essere rappresentata in un 'azione radiotelevisi va o tea trale, immedia tamente o a t traverso interventi di adattamento o di elaborazione o di trasposizione, anche in vista della creazione di multipli.
Ai fini della tutela, l'opera deve presentare i seguenti elementi qualificanti: titolo, struttura narrativa di base, apparato scenico e personaggi fissi".
Tali caratteri non si sono ritenuti sussistere nella fattispecie dalla Corte di merito, per la carenza delle "articolazioni sequenziali" dei programmi ideati, cioè di un canovaccio o "struttura narrativa di base" e di "apparato scenico", che consentissero ai giudici di individuare l'opera da tutelare nei suoi caratteri minimi per qualificarla "format", non identificato nel caso per i contenuti minimi delle succinte proposte del M.M. non ritenute meritevoli di tutela per la loro modestia.
Anche per la prevalente giurisprudenza di legittimità, il contenuto dell'opera rileva in quanto sia configurabile una forma o struttura esplicativa del programma, che nel caso si è negato esservi, con motivazione concisa ma sufficiente a escludere la tutela domandata (cosi con Cass. cit. n. 5089/04, cfr. Cass. 23 novembre 2005 n. 24594 e 24 luglio 2006 n. 16888).
Si è ritenuta legittima l'utilizzazione dei programmi dall'emittente in base al D.Lgs. 16 novembre 1992 n. 685 (Cass. 2 settembre 2005 n. 17699), negandosi alle idee a base di essi, la qualifica di opere di ingegno e il diritto d'autore su cui fonda la sua pretesa il M.M.
La Corte fiorentina, nella motivazione scarna ma adeguata della sentenza, non si sofferma sull'art. 2 della legge n. 633 del 1941, rilevando che, dall'esame dei documenti prodotti da parte attrice in primo grado, i programmi televisivi cui egli aveva dato il titolo, consistevano in meri col loqui tra attore-autore dello spettacolo e pubblico o ospiti su vari argomenti non specificamente individuati, con dialoghi improvvisati, mancando in essi una struttura predefinita, necessaria ad integrare il format come opera dell'ingegno tutelabile ai sensi della L. n. 633 del 1941.
Pur non disconoscendo la originalità delle idee, ritenuta sussistente anche nella sentenza di merito, la modestia e pochezza di esse ha comportato la negazione della loro creatività, sia pure soggettiva, perché non si sviluppano in un canovaccio precostituito ma solo in base a quanto verrà chiesto dai terzi o a costoro dal presentatore, in funzione cioé di eventi imprevedibili, con impossibilità di predisporre dialoghi e testi delle trasmissioni, caratterizzate da pochezza dei contenuti.
In assenza dell' opera dell' ingegno, nessuna tutela può essere accordata solo all' esistente titolo dei programmi proposti dal M.M., mancando l'opera di ingegno cui essi accedono (Cass. 19 dicembre 2008 n. 29774 e la cit. n. 16888 del 2006).
Inoltre, non essendo legalmente disciplinato il contratto di trasferimento dei diritti d'autore per il quale è prevista solo la "forma scritta" articoli di legge che il ricorrente deduce essersi violati, la interpretazione dell' accordo a base delle pretese in controversia, costituisce una mera rimessa all'interpretazione del giudice del merito, logicamente sufficiente e non violativa di norme con infondatezza anche per tale profilo del primo motivo di ricorso (Cass. 6 novembre 2008 n. 26626) La censura di viene inammissibile anche in ragione della pretesa disapplicazione dell'art. 110 della stessa legge n. 633 del 1941, una volta che si è esclusa la esistenza dei diritti di utilizzazione dell'opera d'ingegno da trasferire con atto scritto ai sensi dell' art. 2581 c. c. e della norma speciale che precede, precetti comunque inapplicabili alla concreta fattispecie.

2.2. Per tutto quanto non resta assorbito dal rigetto del primo motivo di ricorso anche nel secondo, quest'ultimo, relativo all'altra ratio decidendi della sentenza di merito che ha confermato la validità e legittimità del contratto concluso dalle parti e la portata del suo contenuto di cui alla decisione di primo grado, deve dichiararsi inammissibile in ordine alla dedotta contraddittorietà della motivazione su tali punti decisivi.
Nella sentenza infatti, da un canto si afferma che la mancata previsione nel contratto concluso dal M.M. con la emittente televisiva di un prezzo o compenso del diritto di utilizzare per due anni le sue trasmissioni, è sintomatica della assenza di un diritto d'autore da tutelare nella fattispecie e d'altro canto si perviene alla stessa conclusione, con un'analisi delle idee di programmi del dante causa dei ricorrenti non configurabili come opere dell'ingegno da tutelare.
L'avere il M.M. accettato un compenso pari al 10% di quanto previsto dall e Tabelle SIAE per la creazione di programmi televisivi, ove queste fossero qualificabili come formats ed opere di ingegno, conferma e non smentisce che tra le parti del contratto per cui è causa s'era esclusa l'esistenza di diritti d'autore da utilizzare per la società emittente successivamente.
Di conseguenza, anche il pagamento ad un terzo del corrispettivo per le attività di cui al contratto per cui è causa, cioè ad una società di capitali gestita dal figlio di M.M., non presupponendo il trasferimento dei diritti di utilizzazione di programmi di cui è negata l'esistenza, è compatibile con l'assenza di un atto in forma scritta per trasferire il compenso concordato e ritenere la retribuzione comprendente tutta l'attività svolta dal dante causa dei ricorrenti per la controparte, nel rapporto di consulenza e collaborazione regolato in
contratto (sul diritto d'autore nei contratti di lavoro: Cass. l luglio 2004 n. 12089).
Non vi è stato bisogno di alcun consenso per iscritto dell'autore a utilizzare le trasmissioni da lui realizzate nei due anni successi vi per l'emittente, in mancanza di un'opera dell 'ingegno da tutelare, dovendosi considerare che la forma scritta ad per la cessione dei diritti d'autore, ha solo la funzione di provare il titolo per evitare ai successivi aventi causa utilizzatori dell'opera, di vedersi pretendere compensi aggiuntivi da chi ha ricevuto gli stessi diritti da altri.

2.3. Va esclusa anche la falsa applicazione dell'art. 2581 c.c. , per le stesse ragioni per le quali si è negata l'applicabilità dell'art. 110 della legge n. 633 del 1941 e tale conclusione comporta l'ammissibilità della prova testimoniale assunta nel merito in primo grado sul carattere omnicomprensivo del compenso concordato. Anche a non ritenere il motivo quale censura della sola decisione del tribunale e non della Corte d'appello, come tale inammissibile, il dante causa dei ricorrenti, nel chiedere il pagamento dei diritti d'autore, di cui si è negata la esistenza, nessun richiamo opera al diritto all'equo compenso che a lui sarebbe spettato quale interprete ed esecutore, ai sensi dell'art. 2579 c.c. per la successiva trasmissione del programma di cui egli è stato il protagonista anche con improvvisazioni originali.
Il terzo motivo di ricorso pertanto, per la parte in cui non è inammissibile, non può che essere anche esso rigettato, perché infondato.

3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e le spese del giudizio di cassazione, per la soccombenza, devono porsi a carico dei ricorrenti in solido e liquidarsi nella misura di cui al dispositivo in favore della controricorrente.

P.Q.M. 

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido a pagare alla controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in €. 5.200,00 (cinquemila duecento/OD), dei quali €. 200,00 (duecento/00) per esborsi, oltre alle spese generali e accessorie come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della l  sezione civile della corte di Cassazione, il 12 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria Il 17 FEB 2010

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Cassazione: programmi televisivi, condizioni per il riconoscimento del diritto d’autore

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