giovedì 14 gennaio 2016

Giuseppe Malagodi 1890 - 1968







Giuseppe Malagodi nacque a Cento (prov. di Ferrara) il 6 settembre 1890.  Il padre, Sebastiano, fu un abile operaio e artigiano, chiamato a Roma nel 1894 come capo-cantiere dei grandi restauri di Castel Sant'Angelo, decisi dal Governo Italiano alla fine del secolo per adeguare Roma alle sue nuove funzioni di capitale del Regno d'Italia. Direttore di quei restauri, che dettero al più grande monumento laico di Roma la forma che vediamo ancora oggi, fu il Generale Mariano Borgatti, grande esperto di architettura militare, anch'egli di Cento e amico della famiglia Malagodi. La madre di Giuseppe, chiamato da tutti familiarmente Peppino, si chiamava Elvira Formaglini, ed  era nipote dello scultore Stefano Galletti, anche lui centese, in quegli anni molto attivo, stimato e apprezzato a Roma, autore fra l'altro del grande monumento in bronzo a Cavour.  Per via del suo lavoro, il padre di Giuseppe, nei primi anni della permanenza a Roma, ebbe alloggio per sé e per la famiglia dentro Castel Sant'Angelo: una abitazione che lasciò un ricordo indelebile nella mente di Giuseppe Malagodi bambino.  Pochi anni più tardi la famiglia trovò alloggio nello stesso immobile dove lo zio Stefano Galletti aveva stabilito il suo studio, a Via Laurina. La famiglia Malagodi, anche lontana dalla sua città di origine, conservò dunque intorno a sé stretti legami con le sue origini centesi, e però poté anche immergersi ben presto nel vivo del tessuto sociale di Roma.


Giuseppe Malagodi studiò disegno e pittura all'Istituto di Belle Arti in Via di Ripetta, dove si diplomò nel 1910. Due anni dopo il padre, Sebastiano, morì per una fulminea malattia, e Peppino, primogenito di cinque fratelli, dovette affrontare un durissimo periodo di responsabilità familiari; lavorò presso vari studi di architetti e di ingegneri; lavorò anche presso l'Ing. Aristide Leonori, che la Chiesa Cattolica avrebbe poi proclamato Beato. Durante gli anni della sua formazione Malagodi conobbe e frequentò critici d'arte, pittori e scultori dell'ambiente romano; fra gli altri, Broglio, Oppo, Pratella, Bartoli, Morbiducci, Trombadori, Tadolini. Fu curioso delle polemiche artistiche sviluppatesi intorno al Futurismo (Malagodi era presente alla famosa "Serata Futurista" al Teatro Costanzi del 21 febbraio 1913); fu assiduo lettore delle riviste che rinnovarono la cultura italiana nei primi decenni del secolo (a cominciare da "La Voce", "Lacerba","Valori Plastici", fino a "Dedalo", "Pan", e poi "La Ronda", "Solaria", ecc.). Il primo quadro che ci rimane di lui è del 1910, l'anno del suo diploma all'Istituto di Belle Arti, ed è una piccola "impressione" del loggione del Teatro Corea durante un concerto. Egli fu anche un grande appassionato di musica, e frequentò assiduamente i concerti.  



Il richiamo alle armi allo scoppio della Prima Guerra Mondiale fu forse l'esperienza capitale nella sua vita. Presso un suo nipote è custodita la vivace corrispondenza dal fronte di Giuseppe Malagodi con la madre. Fu assegnato all'Arma del Genio, che sull'Altipiano di Asiago aveva il compito di preparare le trincee delle prime linee. All'inizio della guerra aveva espresso idee interventiste, ma gli orrori e le crudeltà di cui fu testimone, i pericoli corsi da lui e dal suo fratello più giovane - Pietro, tenentino della classe del '99, che fu uno dei primi a passare il Piave - lo fecero reclinare in un atteggiamento riservato e a tratti malinconico. Per vivere, lavorò come disegnatore in una grande impresa edile; il suo studio di pittore fu al numero 48 di Via Margutta.  Ebbe non molti, ma affezionatissimi amici; fu legato al gruppo dei "Venticinque della Campagna Romana"; fra questi, ebbe un'amicizia fraterna con Anivitti, Aureli e Carosi. Studiò e amò moltissimo gli impressionisti francesi, Cézanne in primo luogo.  Amò molto Venezia, Chioggia, e la Campania, per i colori e le luci che vi trovava. Alcuni suoi paesaggi sono pregni di una malinconia realistica che fa pensare a qualche affinità con il coetaneo e conterraneo Morandi.   Dovunque andasse, la sua curiosità per la realtà dei colori e delle forme gli faceva trovare soggetti per la sua pittura: durante l'ultima guerra fu per due nevosi inverni nella Slovenia occupata, per seguire i lavori della società Immobiliare, e dipinse anche quei paesaggi stranieri.  Ma i soggetti più amati, negli anni della piena maturità, li trovò in Abruzzo e soprattutto nella campagna laziale. Per anni, tutte le volte che poteva, estate e inverno, girò in lungo e in largo per i paesi sparsi a qualche decina di chilometri a nord di Roma: paesi che in quegli anni - fra il '40 e il '60 - conservavano ancora, intatta, la grazia austera e semplice dell'Italia contadina laziale, etrusca e romana. Malagodi ha ritratto centinaia di volte gli interni di quelle case, che dai suoi quadri esprimono la loro semplice e disadorna armonia. L'attenzione del pittore, le sue pennellate più felici, si concentrano sui punti dove la luce, con i suoi giochi cromatici, mette in evidenza la bellezza dei particolari; e spesso questi sono resi e interpretati con un senso di  malinconica contemplazione.   La fotografia, di cui Malagodi fu esperto e appassionato fin dalla giovinezza, lo aiutò spesso per fissare certi momenti di luce e certi particolari delle pitture che iniziava all'aperto e che talvolta finiva nel suo studio di Via Margutta. Di Malagodi rimangono anche splendide fotografie; ritraggono spesso la vita e il lavoro dei contadini, i campi, gli animali. La pennellata di Malagodi è vigorosa e breve, talvolta con effetti divisionisti. Il tratto dei suoi disegni è sintetico e rapido, molto espressivo e realistico. Scene di vita contadina,  scorci delle vie dei paesi,  interni di osterie, paesaggi con campi coltivati, sono alcuni dei soggetti che Malagodi amò di più. Lavorò sempre moltissimo.  Alla sua morte, tuttavia, la figura e l'opera di Giuseppe Malagodi erano quasi sconosciute. Egli aveva partecipato a quasi  tutte le Esposizioni Quadriennali d'Arte di Roma, ma la sua prima mostra personale ebbe luogo solo nel gennaio 1954, presso  la nota galleria romana dei fratelli Antonio ed Ettore Russo. 

La vita di Giuseppe Malagodi si concluse a Roma nel giorno del suo settantottesimo compleanno, il 6 settembre 1968. Al momento della morte, nello studio di Via Margutta 48, Malagodi lasciò molti quadri, che qualche anno dopo furono acquisiti in grandissima parte dai galleristi Russo. Questi stamparono due volumi monografici; il primo fu curato da Silvano Giannelli in occasione di una mostra retrospettiva che nel 1971 girò, dopo Roma, in varie città italiane e fece così conoscere a molti, per la prima volta, l'arte di Malagodi (il catalogo di quella mostra fu presentato da Guglielmo Petroni); il secondo volume uscì nel 1974,  e fu curato da Franco Miele in occasione di una seconda mostra antologica.  Negli anni fra il '71 e il '74, in varie città d'Italia, ed anche nella città natale di Malagodi, Cento, si tennero mostre dei suoi quadri. Più recentemente, nel gennaio - febbraio '95, la Pinacoteca Civica della Città di Cento ha organizzato una grande mostra retrospettiva, ed ha pubblicato una accurata biografia ed un profilo critico del concittadino pittore.  
       Paolo Gonnelli 

Roma, 7 aprile 1998. 


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