sabato 30 agosto 2014

Il dialetto recanatese (u reganatese)


Recanati - veduta panoramica



Dialetto

Il dialetto recanatese (fa parte di un piccolo gruppo di transizione tra i dialetti della zona anconetana e quelli della zona maceratese-fermano-camerte, comprendente anche i vernacoli di Filottrano e Montefano, in quanto ospita influssi provenienti in egual misura da entrambe le aree.
Tra gli elementi di chiara derivazione anconetana, che avvicinano il recanatese non tanto al dialetto del capoluogo marchigiano ma piuttosto a quello dei comuni limitrofi quali Loreto, Castelfidardo ed Osimo, vi sono:

·          Mancanza totale della metafonesi da –o e da –i finale, per le vocali toniche “e” ed “o” sia chiuse sia aperte,  tipica invece del maceratese e di un po’ tutto il centro-sud italiano: per cui a Recanati si ha furbétto e non furbittu come a Macerata, macèllo e non macéllu, rótto e non rutto, pòrto e non pórtu, ecc; tuttavia  tale fenomeno, che attualmente si arresta al di sotto del fiume Potenza, doveva essere un tempo presente pure a Recanati, come dimostrato da documenti dei secoli XIV -XV (terrino, quillo, quisto), e uno degli ultimi relitti metafonetici riscontrabili è stato un quilli in un testo ottocentesco; infine attualmente vi sono solo forme sporadiche come puji per “polli”, e inoltre è da segnalare come la seconda persona del verbo “essere”, pur coincidendo con l’italiano “sèi”, nelle forme interrogative ausiliarie diventa  (Ci si jito?);

·         Non c'è distinzione tra ô (<-o, -ō del latino) e ö (<ū latina), per cui anche a Recanati, come in tutta l'area perimeridiana e in Toscana, le -u latine si sono aperte in -o (lupo < lat. LUPUM); è inoltre da segnalare che a Recanati, ma anche a Jesi, Potenza Picena e Civitanova Marche, non è neppure avvenuto il fenomeno contrario, per il quale tutte le -o finali dell'italiano sono divenute -u (iu magnu < io mangio, lu stòmmigu < lo stomaco), come si verifica invece nel triangolo Ancona-Osimo-Porto Recanati;

·          La lenizione intervocalica (o “rilassamento”), avvertibile però in maniera più sporadica e meno sistematica che nell’area anconetana, perché è vitale di fatto solo per -c-, che diventa molto spesso -g-, ad es. nello stesso nome della città, che viene reso come Reganati, bagià per “baciare”, brugià per “bruciare”, vesciga per “vescica”, fògo per “fuoco”, siguro per “sicuro”, gambià per “cambiare”, mentre per  il passaggio da -t- a  -d- si riscontrano solo pochissimi casi, come fadigà, che contiene la lenizione di entrambe, e aiudo/aiudà per “aiuto/aiutare”;

·          Mancanza del passaggio da b iniziale e intervocalica a v, presente invece a Macerata (babbo e non vavvu,  e non  per “bere”, bardascio e non vardasciu);

·         Sdoppiamento della  -rr-, (tèra, guèra), assente a Macerata città, ma presente in alcune aree della provincia, come Matelica e San Severino Marche;

·          La pronuncia con “è” aperta di molti vocaboli che invece nel maceratese suonano con “é” chiusa, ad es. viène, bicchièro per “bicchiere”, nonché i suffissi in  -mento e in  -mente, ad es. ‘bbijamènto per "abbigliaménto”,  capamènto per “scelta” ;

·         L’uso dei pronomi personali  e lia per “lui” e “lei”, tipici delle Marche e dell’Umbria centrosettentrionali, in antitesi alle forme centromeridionali issu/issa;

·         Uso del pronome interrogativo ? nel senso di “che cosa?”, tipico dell’anconetano-osimano ma non dello jesino che usa invece que?, ne' del maceratese, che usa la forma italiana "che?";

·         Uso del pronome personale ed interrogativo te, in luogo della forma maceratese (ed italiana) "tu";

·         Eliminazione di e intervocalico nella particella "per" (pr'i viculi "per i vicoli");

·         Uso della particella latina *intus con la variante locale ntru/ntri (da int+ru/ri), "in/nei" equivalente all'anconetano ntel/nti (ntru core "nel cuore", ntri cori "nei cuori").

Invece tra gli aspetti che avvicinano il recanatese alla famiglia maceratese-fermano-camerte, vanno annoverati:
·          L’uso della parte finale e non di quella iniziale del latino “illud” per la costruzione dell’articolo determinativo maschile singolare “il”: infatti mentre nelle finitime località di Loreto e Porto Recanati è in uso la forma anconetana el, a Recanati è presente ‘u , da un più antico ru, forma quest’ultima ancora presente a Filottrano; da qui derivano ‘a  (da ra) per “la”, 'i (da ri) e l’ per “i, gli”, ‘e (da re) per “le”; tra Recanati e le aree immediatamente più a nord passa perciò una cesura molto importante a livello linguistico nazionale, in quanto segna il passaggio dalle forme dialettali perimeridiane, disposte lungo la linea Roma-Perugia-Ancona, che appunto usano la parte iniziale di “illud”, a quelle mediane in senso stretto, nonché a quelle meridionali, che invece ne usano la parte finale;

·         Il passaggio da "g" iniziale ed intervocalica a "j" (joco/jocà per “gioco/giocare” da latino “iocus”,   fujì/fujato per “fuggire/fuggito”);

·         Il passaggio da doppia  "-ll-" intervocalica a -j- (bujito per “bollito”, curaji per “coralli”, puji per “polli”, mujche per “molliche”);

·         Mantenimento di “t” latina in matre/patre;

·         Apocope anche dei suffissi in  "-ro" (da -io), seppur non estesa e generalizzata come nel maceratese, ad es. pajà per “pagliaio”, pegurà per “pecoraio”, maferraro, sartore;

·        L’assimilazione progressiva ND > NN (il mondo> u monno, quando> quanno, passando> passanno), presente comunque pure nella provincia di Ancona, tranne che nel capoluogo. Frequente è pure l'assimilazione di LD > LL (caldo > callo), mentre è un po' più rara l'assimilazione di MB > MM (pijà gammo’ “prendere il sopravvento”);

·         Sonorizzazione di “c” dopo nasale (mancare > mangà, bianco > biango), tipica anche di Jesi, mentre il fenomeno analogo per “t” a Recanati è presente solo sporadicamente, perciò pare essere regredito: sopravvive ad es. la forma déndro per “dentro”;

·        Con i sostantivi che indicano grado di parentela l'aggettivo possessivo può essere espresso con una particella proclitica (ad es. tu' madre, tu' padre), o con una enclitica (màmmeta, bàbbeto), esattamente come a Jesi;

·         La pronuncia con “é” chiusa di molti vocaboli che invece nei comuni limitrofi della provincia di Ancona e a Porto Recanati suonano con “è” aperta, ad es. trénta, pénso, sénza, vérde, férmo, vénne;

·          Uso della particella latina *in medio (ad): mecquì, mellà (=qui, là), presente anche a Camerino, Matelica, Cingoli, Treia, ma che si riscontra pure nelle Marche centro-settentrionali, a San Marino, nell'Umbria e nel Lazio settentrionale; lo stesso dicasi per la preposizione dativa ma per "a": ma mé per "a me", e di conseguenza  (ma+'u) per “al/allo” (mù patre “al padre”),  (ma+'a) per “alla”, mì (ma+'i)per “ai” e  (ma+'e) per “alle";

·          Uso di 'llo, 'lla, 'lli, 'lle per "quello, quella, quelli, quelle" come nelle Marche centromeridionali, a differenza dell'anconetano che ha qul/qula e dei dialetti della sua provincia dove suona come in italiano.

Infine sono da ritenere forme tipiche esclusivamente di Recanati nuà/vuà per “noi/voi”, sopre per “sopra” e sotta per “sotto”, questi ultimi due fenomeni guizzanti anche altrove.
Il lessico locale recanatese attinge anch’esso tanto dall’area anconetana quanto da quella maceratese. Eccone alcuni esempi: armango=almeno,  bardascio=bambino, ciuétta=civetta,  derèto=dietro,  fugaraccio=falò, ' gna=bisogna,  igno’= in giù,   jòppa=zolla,  lala=ala,  minga=mica,  négne=nevicare,  pertegara=aratro, ' rsumijo=fotografia, sbrégo=strappo,  torcolétto=rametto,  vèspera=vespa,  zécchere=zecche.
Analogamente ciò vale a proposito dei modi di dire: 
ciacca l’ajo=ben ti sta, 
de riffe o de raffe=in qualche maniera, 
è como jì a curre c’u lebbre=è una gara impari, 
jì a gatto mino’=camminare carponi, 
mango pe’ mele=nemmeno per sogno, 
e me’ cojoni=però, ci vorrebbe pure, 
pijà gammo’=prendere il sopravvento, 
sartà u fosso=fare il salto di qualità, 
secco rrabbito=magrissimo, 
voja de fadigà sarteme addosso=detto di persona sfaticata.
Ancora, sono di seguito riportati alcuni proverbi tipici: 
‘A cerqua nun fa’ i melaranci = ogni albero dà il proprio frutto, ogni uomo dà solo quel che ha,
 Mejo puzzà de vì che d’ojo santo = meglio ubriachi che in fin di vita, 
Carta canta e villan dorme =  lo scritto si fa sentire (cioè fa prova), mentre il contadino dorme (nel senso che non può farsi sentire, cioè non ha voce in capitolo perché non sa scrivere), perciò è sempre indispensabile avere prove scritte perché le parole volano e non restano, 
Quanno u gallo canta da gajina, a casa va in ruìna = quando l’uomo fa la parte della donna (si lascia comandare), le cose in famiglia non vanno mai bene, 
Sant’Antò d’a barba bianga, se nun negne nun se magna = se a Sant’Antonio abbate (17 gennaio) non nevica non si ha cibo, 
Anno bisesto, anno funesto=l’anno bisestile è pieno di contrarietà,
D’istate u monte, d’inverno a fonte=per regolarsi sul tempo che farà, l’estate si guarda la montagna, d’inverno il mare, 
Scirocco, oggi tiro e dumà scrocco=Oggi soffio e domani porto acqua.


Uno dei cittadini storicamente più illustri di Recanati, Giacomo Leopardi, in una lettera allo scrittore piacentino Pietro Giordani del 30 maggio 1817, ebbe modo di segnalare i pregi della favella recanatese, soffermandosi in particolare sulla pronuncia: “Ella non può figurarsi quanto sia bella. È così piana e naturale e lontana da ogni ombra di affettazione, e non tiene punto né della leziosaggine toscana né della superbia romana, mentre basta uscir due passi dal suo territorio per accorgersi di una notabile differenza, la quale in più luoghi pochissimo distanti, non che notabile è somma”.

Nessun commento:

Posta un commento