mercoledì 6 marzo 2013

Predica in do minore





Napolitano ha passato il suo settennato chiedendo ai partiti di abbassare i toni, ma era tanta ,tanto  a sinistra che a destra e al centro, la voglia di strafare che, almeno verbalmente, si è tornati  indietro alle rappresaglia del dopo guerra quando gli antifascisti sentirono la necessità di vendicarsi per i torti subiti e quelli di destra si mossero per non perdere le posizioni sulle quali si erano attestate.

Il bagno di sangue se non c’è stato in maniera diluviale, in piccole dimensioni si è verificato senza attenuanti e i vinti non hanno dimenticato le efferatezze che le vendette a loro comminate e i vinti non hanno saputo vincere senza strafare.

Il problema è ancora presente in questa nostra Italia, diventata una per mano di Garibaldi e di altri “uomini di pensiero”, ma mai avvertita come patria visto il risorgere al sud di partiti come quello Borbonico o analisi di quel periodo storico che portarono alla spoliazione del Sud a favore di un nord liberatore, mai chiamato in causa e mal tollerato.

Sentir aleggiare da un uomo politico ancora oggi la minaccia che i comunisti mangiavano i bambini come nel dopo guerra la campagna elettorale asseriva, è un’offesa alla verità storica e all’inteligenza degli uomini onesti ed equanimi.

Chi non è mai stato al servizio di nessun capitale sa che gli uomini della base mangiano pane e sacrifici offrendo i propri frutti alla spregiudicatezza di quelli che si sentono capitalisti e affaristi capaci di sovvertire il mondo con le loro speculazioni da un giorno all’altro.

La politica in Italia non ha mai conquistato un linguaggio civile, capace di concetti semplici e di parole chiare comprensibili a tutti.

L’esercizio del potere è diventato appannaggio di pochi con la nomina di vassalli e valvassori capaci di spogliare gli altri anche del benessere di sopravvivenza.

Abbiamo raggiunto nell’arco di sessantanni una povertà diffusa, un analfabetismo di massa che ha acquisito la sufficienza di sapere e comprendere, ma non ancora degna di essere presa in considerazione da chi si è arrogato il diritto di decidere per gli altri.

Non abbiamo bisogno di ricchezze, ma di lavoro per conservare la nostra dignità che nessuno più dovrà osare toglierci pena la condanna civile e l’ostracismo come nemico della nazione.

Le rivoluzioni sono nocive in quanto acuiscono le incomprensioni come quelle di questi giorni quando tutti hanno vinto e rivendicano il ruolo di vincitori mettendosi come muro contro muro.

Una volta preso atto che un vero vincitore non c’è stato, andavano lasciate le chiacchiere da parte per accomunare le proprie diversità per dare al paese una guida certa utilizzando i progetti migliori che sono stati avanzati.

La grandezza dei grandi si vede nell’umiltà e non nella superbia, anche se il proverbio recita di non farsi pecora che c’è sempre un lupo in agguato.

E’ auspicabile un consesso il più ampio possibile per ritrovare l’unità nazionale che ancora è straniera in patria e che nessuno mangerà nessuno per poter vivere tutti felici e contenti ora e sempre nei secoli a venire.




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