domenica 17 febbraio 2013

Venezia 2013.

Un altro tassello si aggiunge: il giovane Richard Mosse candidato a rappresentare l'Irlanda in laguna
pubblicato sabato 19 gennaio 2013

Richard Mosse, Platon, North Kivu, Eastern Congo, 2012. Digital c-print. Courtesy of the artist and Jack Shainman Gallery.

Il progetto si intitolerà "The Enclave”, e sarà curato dalla direttrice della galleria irlandese Butler di Kilkenny, Anna O'Sullivan. Protagonista sarà un'installazione inedita di Richard Mosse, classe 1980, rappresentato dalla galleria Jack Shainman di New York.
Un lavoro che si preannuncia pervaso da un'estetica che si muove tra il documentario e l'arte contemporanea, a partire dalla situazione del Congo rispetto ai Paesi occidentali, attratti e allo stesso tempo indifferenti nei confronti dei gravi problemi politici che si sono riscontrati nello stato dell'Africa Nera. Su questo argomento Mosse prenderà voce attraverso una serie di immagini realizzate attraverso l'uso di una pellicola fotografica di uso militare, la Kodak Aerochrome. Originariamente sviluppata per le rilevazioni dei soldati in mimetica, la pellicola in questo montaggio filmico diverrà anche una sorta di nuova estetica del paesaggio, virando i toni naturali in colori caldi, quasi psichedelici. 
Con la collaborazione del fotografo Trevor Tweeten, del compositore Ben Frost e del montaggio video di Melody London, Mosse ha creato un'installazione a cinque schermi. Ma quello che risalterà di più sarà la vita del progetto e la denuncia di una situazione che l'Occidente ignora: per due anni Mosse, Tweeten e Frost, sono stati in veste di giornalisti all'interno di gruppi armati che combattono, nomadi, in una zona di guerra tra frequenti imboscate, massacri e sistematica violenza sessuale. «In questo progetto si rende evidente il circolo vizioso che coinvolge il soggetto e l'oggetto. La telecamera provoca un cortocircuito involontario, un reciproco dirottamento di paternità e di autonomia. Senza nessuna sceneggiatura i ribelli congolesi restituiscono il loro sguardo alla macchina da presa, in modo conflittuale e accusatorio. La camera sembra ipnotizzare e provocare tutti, e la nostra precaria presenza rivela una sfida ambigua con lo straniero, la vulnerabilità e anche una sorta di accusa» ha rivelato l'artista, che vanta già partecipazioni al Barbican di Londra, al Musée des beaux-arts de Montréal, al Museum of Contemporary Art e al San Francisco Museum of Modern Art, nonché vincitore di una borsa di studio targata Guggenheim.

Nessun commento:

Posta un commento