sabato 5 gennaio 2013

don Franco Patruno artista ferrarese e persona grande di cultura scomparso nel gennaio del 2007.




comunicato stampa 
L’Associazione Accademia d’Arte Città di Ferrara ha promosso la mostra ed ha invitato: Giorgio Balboni, Carlo Bertocci, Giorgio Cattani, Maurizio Bonora, Bruno Ceccobelli, Bruno Donzelli, Omar Galliani, Gianfranco Goberti, Thomas Lange, Renzo Margonari, Romano Notari, Oscar Piattella, Ernesto Terlizzi.


La mostra sarà anche l'occasione di ricordare don Franco Patruno artista ferrarese e persona grande di cultura scomparso nel gennaio del 2007.
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Marco Bertozzi

I nostri angeli: a ciascuno i suoi (suggestioni per una mostra).

Ormai c’è di tutto in commercio: basta un po’ di denaro (la massima nostra potenza, astratta e concreta divinità con cui tutto si può) per garantirsi il loro potere di guarigione o entrarci in contatto con carte da gioco adattate a tale scopo. È Natale, si può…
Certo, ciascuno ha il suo angelo (custode) o ha i suoi angeli sparsi per casa. Sì, parlo di libri, naturalmente, che ne evocano la presenza. Se mi aggiro per i tanti dispositivi librari sparsi per la casa, ne vedo molti (meglio, forse dovrei dire che ne ho “visione”).
Il primo ad apparire è il celebre Angelus Novus di Walter Benjamin. Oggi, considerato un pensatore di culto, come si suol dire. Non allora, quando (giovane studente all’Università di Urbino) ne acquistai la einaudiana versione, in brossura, del 1962. Magnifico testo, che ritrovo anche nella più recente edizione, abbandonato su una pila di libri, usati per le lezioni del primo semestre di questo anno accademico.
Secondo la nona delle benjaminiane tesi sul concetto di storia, ecco l’icona di quel che chiamiamo progresso: “C’è un quadro di Paul Klee che si chiama Angelus Novus. Vi è rappresentato un angelo che sembra in procinto di allontanarsi da qualcosa su cui ha fisso lo sguardo. I suoi occhi sono spalancati, la bocca è aperta, e le ali sono dispiegate. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Là dove davanti a noi appare una catena di avvenimenti, egli vede un’unica catastrofe, che ammassa incessantemente macerie su macerie e le scaraventa ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e riconnettere i frantumi. Ma dal paradiso soffia una bufera, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che l’angelo non può chiuderle. Questa bufera lo spinge inarrestabilmente nel futuro, a cui egli volge le spalle, mentre cresce verso il cielo il cumulo delle macerie davanti a lui. Ciò che noi chiamiamo il progresso, è questa bufera”.
Già, “l’angelo (è) necessario”, come recita il titolo di un libro di Massimo Cacciari, con personale dedica, che si affaccia da quelle parti. Tanti altri ne vedo: dalle cabalistiche pagine di Giovanni Pico della Mirandola (che abbondano sugli scaffali) ai numerosi volumi sulle amate storie dei Magi (forse gli amici della Galleria ricorderanno le mie conversazioni “epifaniche” dedicate a don Franco).
Angeli nunzianti la buona novella, ma anche “luciferine” apparizioni, destinate ad animare e ad inquietare la nostra esistenza… Vedo ora la “galleria” di angeli “contemporanei” che Paolo Volta mi ha inviato (frutto dei numerosi artisti che hanno voluto contribuire a questa mostra): la loro presenza ci sia di benaugurante auspicio in questo fine anno, così pieno di conflitti e di rinnovate speranze…
Ma non perdiamoci d’animo. L’ultimo film, in uscita natalizia, del grande regista inglese Ken Loach ci informa che esiste anche “la parte degli angeli”: cioè, per “spiritosa” metafora, quel 2% di biondo whisky scozzese che, evaporando dalle botti, si disperde in aria…
Sono certo che un po’ di questo “spirito” ci aiuterà e ci assisterà ad affrontare meglio il tempo a venire e gli attesi brindisi che costelleranno le nostre prossime festività. A u g u r i !
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Gianni Cerioli

Vedere non vedendo.

Nella visione tutto si gioca sul gradiente percettivo dell'occhio umano. Non possiamo vedere oltre ad un certo punto. Percepiamo solo i colori compresi nella banda da 380 a 780 nanometri. È nella particolare natura del nostro occhio la ragione per cui riusciamo a percepire come luce solo una parte limitata delle radiazioni elettromagnetiche. La qual cosa pone non pochi limiti a quanto attiene al visibile e al non visibile.
Nelle arti visive tutto sta nell'inseguire le immagini che le idee intendono esprimere attraverso le forme. Certe scelte formali del naturalismo, ad esempio, come la prospettiva o il chiaroscuro, collocano nelle opere che vengono prodotte una visione del mondo in cui è prioritaria l'hybris dell'uomo moderno di trasporre il proprio egocentrismo all'interno del quadro, fondendo e confondendo immagine e visibilità mondana.
Nello specifico dell'arte sacra il gioco del vedere viene ulteriormente a complicarsi con l'Incarnazione. Nel più profondo del cuore di chi è creato a “immagine e somiglianza”del creatore il desiderio di vedere resta ben radicato pur sapendo che la visione diretta di Dio non appartiene a questo mondo. L'arte sacra si fa allora enigma della visione: è un vedere non vedendo.
All'interno dell'arte sacra poi non tutto è altrettanto pacifico. E il dipingere un'immagine di soggetto religioso non è la stessa cosa del dipingere una icona. Il pittore di icone apre, secondo quanto sostiene Florenskij, una “finestra sull'invisibile” e qui veniamo a trovarci nel pieno della guerra delle immagini. Ci sono annullamenti di valori rappresentativi, ci sono soggiacenti dinamiche di ulteriorità di senso che emergono in primo piano.
Tra iconofilia e iconoclastia gli artisti di queste opere sugli angeli contemporanei portano all'interno della loro ricerca artistica un valore aggiunto. Sono le immagini di queste figure ibride, alate, per metà uomini e per metà messaggeri del cielo che irrompono nei territori dello scetticismo contemporaneo e della nostra ricerca di spiritualità.
Sono forme transitorie eternamente in bilico tra l'esistenza terrena e quella sopranaturale dell'aldilà; si collocano tra la realtà e l'immaginazione metafisica senza perdere mai la pregnanza della loro attualità. Anche in questa mostra, istanze rappresentative dell'arte sacra, ancorate alle suggestioni della storia dell'arte, aprono le immagini a nuove valenze formali e a riprese iconografiche, suggerendo metafore dell'ambiguità e della contraddizione dell'essere umano.
Un disegno di don Franco Patruno, un “Caduto” dei primi anni duemila, può offrire una direzione di lettura all'intera esposizione. La caduta da uno stato anteriore di qualità più elevata diviene momento di totale destabilizzazione ontologica e iconica. È da questa interconnessione che nasce una modulazione del modo di percepire che rielabora anche una estrema fluttuazione dell'universo figurativo.
In un momento in cui prevalgono istanze perturbatrici, è la messa in dubbio della modalità di adesione al reale a oscillare tra realismo ed astrazione. La riflessione critica sui limiti del proprio essere diventa un modo per negare l'universo figurativo tradizionale e sollecitare la fondazione di un “vedere iniziale” da cui ripartire per mettere i nostri occhi in un circuito permanente di possibilità moltiplicate.
Solo là dove la speranza muore alla Speranza anche la rappresentazione figurativa è a rischio di oscuramento. L'artista ci conduce in un tempo che ci permette di essere qui, ora, davanti all'opera, e là, al momento dell'angoscia del dramma. L'inquietudine esorcizza la paura con il desiderio iperbolico del nulla affettivo che svuota totalmente il senso del tempo. La perdita della realtà diventa proporzionale alla competenza dei singoli esseri di metamorfizzarsi con il reale.
Eppure quello di don Franco non è un tempo in senso antropologico. È soprattutto un tempo teologico in cui la valenza cristologica diventa connotazione fondamentale. La categoria della salvezza modifica in modo sostanziale ogni concezione di essere dell'uomo nel tempo. Se l'evento decisivo, la Crocifissione, è già accaduto, il tempo di attesa sta nella certezza del Cristo.

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