venerdì 4 novembre 2011

Libero Bovio: canzonettista

Libero Bovio


Libero Bovio non fu solo un grande poeta: fu il più grande poeta della canzone napoletana. Se Salvatore Di Giacomo - sempre concentrato su se stesso - scrisse versi ch'erano già musica, difficili da rivestire di note, il più generoso Bovio vergò rime altissime eppure ben adatte a favorire il lavoro del compositore. Ecco il segreto dell'armonia.
 Il talento di Bovio spuntò all'inizio del Novecento e alla fine del ventennio d'oro della canzone, quando si dava per morta questa straordinaria espressione di arte popolare. Salvò la canzone, la tenne in vita, la riformò. Fu uno dei tanti modi in cui onorò la lezione del padre Giovanni, filosofo della democrazia ed esempio perduto di moralità nella vita pubblica e privata.
Il suo genio lirico e ironico, straripante e pudico, dominò su un ambiente gonfio di retorica, grondante lacrime. Sua una frase meravigliosa: "L'aggettivo è il solo responsabile di tutte le nefandezze umane". Avendo avuto il dono di farsi capire e di farsi amare dal popolo, riuscì ad abbinare chiarezza e cultura: un democratico, come il padre.
Lligi Pirandello scrisse alla moglie di Bovio, Maria, che Silenzio cantatore valeva quanto i suoi Sei personaggi in cerca d'autore.

 

Cara Piccina

Son trenta giorni che vi voglio bene,
son trenta notti che non dormo più.
Non ve ne addolorate, ma conviene
che non mi abitui ancora a darvi il "Tu".

No, cara piccina no,
così non va.
Diamo un addio all'amore
se nell'amore è l'infelicità.

Negli occhi avete la malinconia,
nel core avete la felicità.
Ogni lacrima vostra è una bugia
che ha tutta l'aria della verità.

No, cara piccina no,
così non va.
Diamo un addio all'amore
se nell'amore è l'infelicità.

Forse è l'addio se non verrò stasera,
piccina mia non aspettarmi più.
Addio mio sogno, addio mia primavera,
nel dirti addio ti voglio dare il "Tu".

No, cara piccina no,
così non va.
Diamo un addio all'amore
se nell'amore è l'infelicità.

Diamo un addio all'amore
se nell'amore è l'infelicità

Signorinella

Signorinella pallida,
dolce dirimpettaia del quinto piano,
non v'è una notte ch'io non sogni Napoli,
e son vent'anni che ne sto' lontano!

Al mio paese nevica,
e il campanile della chiesa è bianco,
tutta la legna è diventata cenere,
io ho sempre freddo e sono triste e stanco!

Lenta e lontana,
mentre ti penso suona la campana
della piccola chiesa del Gesù
e nevica, vedessi come nevica...
ma tu, dove sei tu?

Bei tempi di baldoria,
dolce felicità fatta di niente:
Brindisi coi bicchieri colmi d'acqua
al nostro amore povero e innocente.

Negli occhi tuoi passavano
una speranza, un sogno, una carezza...
avevi un nome che non si dimentica,
un nome lungo e breve: giovinezza!

Amore mio!
Non ti ricordi che, nel dirmi addio,
mi mettesti all'occhiello una pansè
e mi dicesti, con la voce tremula:
"Non ti scordar di me!"

E gli anni e i giorni passano,
uguali e grigi, con monotonia,
le nostre foglie più non rinverdiscono,
signorinella, che malinconia!

Tu innamorata e pallida
più non ricami innanzi al tuo telaio,
io qui son diventato il buon don Cesare,
porto il mantello a ruota e fo' il notaio.

Il mio piccino,
sfogliando un vecchio libro di latino,
ha trovato, indovina, una pansè ...
perché negli occhi mi spuntò una lacrima?
Chissà, chissà perché!

Lenta e lontana,
mentre ti penso, suona la campana
della piccola chiesa del Gesù ...
e nevica, vedessi come nevica...
ma tu... dove sei tu?

Nessun commento:

Posta un commento