mercoledì 30 marzo 2011

Pesce e frutti di mare nelle abitudini degli Stabiesi


 
PESCE E FRUTTI DI MARE





     Il napoletano il pesce lo ama fritto non bollito, giacché usa dire che quello bollito è buono solo per i malati. Per la frittura occorre  pesce sia di piccola taglia che è possibile  friggere a dovere, mentre per il pesce grosso o da taglio viene cotto preferibilmente sulla griglia o al forno.

     Il pesce vuole tre effe come dice un proverbio napoletano per essere consumato in tutta tranquillità, la effe di fresco, di fritto e futo che oltre a voler dire profondo, vuol dire anche vuoto ben sviscerato. Visto che il pesce puzza dalla testa è facile indovinare quando è fresco, guardandolo negli occhi, scrutandone le branchie e verificando il gonfiore della cavità celopatica.

     Un fritto di pesce è una delizia che a Castellammare di Stabia neppure il più povero si è mai negato nei giorni di festa per eccellenza, come anche il consumo di frutti di mare ad incominciare dalle cozze locali di Portapenniello.

     Una volta, prima del colera, a Castellammare nel porto in prossimità della bocca di scolo dell’acqua delle terme c’era un discreto vivaio costituito da barche e pontoni che mantenevano sospesi nell’acqua dei grossi cesti dove erano depositate le cozze, le vongole, i lupini, i fasolari, i lumachini (maruzzielli), le ostriche, le telline, i cannolicchi, gli sconcigli, i tartufi ed altri bivalve come i datteri che è vietato pescare dalla pubblicazione delle legge del 25/08/1998 in poi, ma che di tanto in tanto appaiono ancora  mentre nel dopo guerra si consumavano impunemente anche se per recuperarli si distruggeva buona parte dell’ambiente naturale che li produce.

Datteri di scoglio

     Il danno calcolato ogni anno solo in Campania, è intorno a 70.000 metri quadrati di desertificazione dei fondali e in altri 30.000 nel Salento. Se le coste campane e pugliesi sono le più battute dai pescatori di frodo, si registrano frequenti casi anche in Toscana, a Giannutri; nelle Cinque Terre e nel litorale spezzino e nelle coste sud orientali della Sicilia. Insomma dove la costa è calcarea (falesia calcarea) è molto facile trovare qualche sub armato di martello e scalpello.

     Un datteraio professionista riesce a raccogliere fino a 25 chili di datteri al giorno, provocando la desertificazione di 5 chilometri di costa ogni anno e, se consideriamo che per completare la sua crescita un dattero di mare impiega fino a 80 anni, il danno all’ecosistema è bello e fatto.

     Il divieto di raccolta, detenzione e commercio del dattero di mare è stato prorogato con il decreto 16 ottobre 1998. Da un punto di vista organolettico e nutrizionale, il dattero di mare ha caratteristiche nettamente superiori agli altri molluschi. I datteri di mare sono prelibati per la tavola. Già al tempo degli antichi romani questi bivalvi erano apprezzati in gastronomia ed erano noti per il potere afrodisiaco delle parti molli e ancor oggi sono considerati cibo molto gustoso e ricercato. Le parti molli del dattero sono effettivamente ad alto contenuto proteico, ricche in vitamina A e C, e ad alta resa energetica (125 calorie, contro le 67 dei mitili e delle ostriche, per ogni 100 gr. di parte commestibile)..

      L’ostricaro è un altro dei mestieri che sta sparendo: qualcuno si trova ancora all’acqua della Madonna difronte a Fontana grande e qualche altro nelle prossimità di piazza Orologio. Ormai ci sono i supermercati con il banco del pesce e l’angolo dedicato, ma il colore di una volta si è perso assieme allo spettacolo degli zampilli d’acqua che producevano i bivalve durante lo spurgo nella loro permanenza nelle cupelle dove erano tenuti immersi nell’acqua di mare.

     All’acquisto il cliente riceveva il prodotto acquistato immerso nell’acqua per conservarlo vivo fino alla consumazione.

     Non c’era una domenica che mio padre tornasse senza il sacchetto con dentro i frutti di mare. In caso contrario pensavamo che si sentisse male, che gli fosse successo qualche impiccio che glielo aveva impedito.


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